Zuppi, politica e profezia per scongiurare la guerra nucleare
La guerra nucleare è realisticamente una delle opzioni del conflitto in corso in Ucraina ad un anno dall’invasione del 24 febbraio 2022 decisa dal governo di Mosca. Lo affermano apertamente gli analisti di geopolitica mentre l’opinione pubblica, anche se cerca comprensibilmente distrazione e ha voglia di normalità, è percorsa da un senso intimo di paura e dal desiderio di essere protetta e difesa.
L’arma nucleare è stata propagandata in questi decenni come fattore di stabilità assicurando “l’equilibrio del terrore” accettato come espressione di realpolitik.
Un realismo che non tiene più a causa della molteplicità dei Paesi detentori di armi nucleari e della non affidabilità delle catene di controllo nel governare il primo lancio destinato ad innescare l’effetto a catena come ripetono i bollettini periodici della Federazione degli scienziati atomici statunitensi che continuano a spostare le lancette verso la mezzanotte dell’orologio dell’Apocalisse.
È nata da questa consapevolezza l’iniziativa lanciata nella primavera del 2021 da oltre 40 tra associazioni e movimenti cattolici, oltre a realtà nonviolente ed ecumeniche, per spingere l’Italia a mettere in discussione la dottrina strategica che le impone di non aderire al trattato Onu di abolizione delle armi nucleari firmato nel 2017.
Un’iniziativa di adesione convinta alla campagna “Italia ripensaci!” che ha cercato di allineare l’insieme del cosiddetto mondo cattolico con l’esempio e l’insegnamento di papa Francesco, il quale ha più volte condannato, ovviamente, non solo l’uso dell’arma atomica, ma anche il suo possesso. E questa è una novità che mette in imbarazzo i regimi autocratici così come le democrazie liberali che, tra l’altro, sono state le uniche finora ad usare il micidiale strumento di morte nel 1945 con il lancio, deciso dagli Usa, delle due bombe sui centri abitati giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. All’epoca Washington deteneva, ancora per poco, l’esclusiva dell’applicazione di un’invenzione che trova origine negli studi dell’italiano Enrico Fermi e del suo gruppo di lavoro di via Panisperna nel quartiere Monti a Roma.
Si discute con scetticismo del peso che può avere la società civile organizzata sulle scelte determinanti dei poteri prevalenti che si manifestano in queste ore con la presenza del presidente statunitense Joe Biden a Kyiv, cioè nella capitale ucraina che l’esercito russo ha creduto di conquistare con una guerra lampo. L’abbraccio con Zelensky in tuta mimetica è l’immagine della determinazione degli Usa a sostenere senza limiti una guerra che ha necessità di continue forniture di armi e di sostegno logistico e dell’intelligence. Incontro preceduto dal viaggio della presidente della Commissione europea von der Leyen che ha deciso di convertire il fondo UE per la pace nella fornitura di armi all’esercito ucraino.
Sull’altro fronte Vladimir Putin ha tenuto martedì 21 febbraio il suo discorso alla Nazione per ribadire l’impegno fino alla vittoria nella guerra contro l’Ucraina, che continua a dichiarare “operazione militare speciale”, giungendo a sospendere la partecipazione al New START (Strategic Arms Reduction Treaty), cioè il trattato finora in vigore che ha permesso a partire dal 2011 di operare un reciproco monitoraggio degli armamenti nucleari.
Un segnale eloquente del precipitare della situazione anche se è prevedibile che i vertici militari delle due potenze continueranno a parlarsi direttamente, come hanno fatto in questi anni, mentre le truppe di soldati e mercenari continueranno a morire assieme alla popolazione civile esposta a violenze di ogni genere.
L’escalation bellica conduce ad un piano inclinato dall’esito innominabile. Uno scenario che pone il cristiano davanti all’accettazione o meno della vecchia dottrina del “Se vis pacem para bellum”, (Se vuoi la pace prepara la guerra). Di recente, a sentirla ripetere per l’ennesima volta partecipando ad un dibattito televisivo, don Renato Sacco, di Pax Christi, che di tempi per parlare ne aveva pochi, si è messo le mani sulla testa a manifestare l’orrore verso una logica autodistruttiva. Ma non è detto che tale ripulsa sia condivisa all’interno della comunità ecclesiale.
È stato perciò rilevante che le oltre 40 realtà di questo mondo attraversato, come tutti da lacerazioni e conflitti di coscienza, si siano autoconvocate il 18 febbraio a Bologna alla presenza del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di quella meravigliosa città e presidente dei vescovi italiani, per porsi la domanda sul che fare davanti al precipitare degli eventi che spalancano le porte ad un disastro di gran lunga peggiore del devastante terremoto in Turchia e Siria.
Un incontro di 2 ore in un pomeriggio solare di carnevale nel giorno della memoria dei giovani cristiani della Rosa Bianca, martini nonviolenti della resistenza al nazismo, dove ogni rappresentante di associazioni grande o piccola ha avuto 3 minuti di tempo per avanzare una proposta concreta di mobilitazione oltre a continuare nelle attività di formazione e solidarietà che costituisce la ricchezza di ognuno.
Tra le diverse proposte emerse c’è quella di recarsi in massa a Brescia nella città dove nella vicina base militare di Ghedi sono presenti decine di ordigni nucleari in fase di ammodernamento tecnologico.
Un gesto pubblico di rifiuto dell’arma nucleare che nella narrazione finora prevalente è stata spacciata come garanzia di quella sicurezza e difesa che le persone comuni ricercano. Un atto solenne in linea con il realismo di Giorgio La Pira che indicava all’umanità a rendersi conto di trovarsi sul crinale apocalittico della storia dove “o finisce tutto o tutto ricomincia”.
Non è detto che tale proposta sarà portata avanti dalle realtà riunitesi a Bologna dove al cardinal Zuppi non è stato chiesto, ovviamente, di dare alcun nulla osta ma di accompagnare questo percorso di discernimento. E di certo la presenza del presidente della Cei ha offerto una certa visibilità all’iniziativa che altrimenti sarebbe rimasta ancor più nascosta nei criteri di scelta delle agenzie di stampa, anche cattoliche. In effetti non è una notizia un ennesimo appello alla pace in tempo di guerra che non si traduce in un impegno concreto. Per questo motivo la riunione del 18 febbraio è stata indetta proprio per “andare oltre gli appelli”.
Come ha detto lo stesso vescovo di Bologna, «Politica e profezia: servono entrambe. Essere nella profezia serve per spingere la politica ad essere all’altezza. Vi ringrazio perché molte delle vostre realtà stanno sul campo. La pace può sembrare da ingenui. Non siamo così stupidi: penso che al contrario anche parlare di disarmo e indicare un grande futuro ci aiuti a misurarci sul contingente». Zuppi ha poi citato Henry Kissinger, un politico ormai centenario, di certo non un pacifista, secondo il quale «non bisogna permettere che l’uso di armi nucleari diventi convenzionale, si normalizzi, non solo per il risultato immediato ma per le conseguenze».
«Se c’è il diritto ad una legittima difesa, – ha sottolineato Zuppi- va anche considerato legittimo il diritto alla difesa della pace». Per questo ha invitato a dare seguito al discorso di papa Francesco del 2 ottobre 2022 rivolto «al presidente della Federazione Russa supplicandolo di fermare questa spirale di violenza e di morte» accompagnato da un medesimo «appello al presidente dell’Ucraina (affinché, ndr) si apra alle proposte di pace. E aggiungo a responsabili: chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle proprie responsabilità per porre fine alla guerra in corso senza farsi coinvolgere in pericolose escalation».
E di queste ore l’annuncio di una proposta di tregua avanzata dalla Cina che non incontra il favore del segretario di Stato Usa Tony Blinken, mentre non si intravede una posizione europea distinta da quella espressa finora con determinazione dalla von der Leyen.
Eppure, contrariamente ad ogni scetticismo anche, ad esempio, Lucio Caracciolo nell’editoriale dell’ultimo numero di Limes si dice persuaso dell’idea che «l’Italia potrebbe riscoprire l’arte della diplomazia in cui eccellevamo. Non siamo in grado di scrivere l’agenda della tregua ma in grado di contribuire a un fronte di Paesi, non solo europei, capaci di massa critica, dunque di influenza su americani, russi e cinesi». Sarebbero Italia, Francia, Germania e Spagna, il quadrilatero dei Paesi europei capaci, secondo tale visione, di penetrazione su Mediterraneo e Africa.
Immaginare e proporre nuove vie di uscita è quindi possibile per non cadere nel fatalismo e la società civile, cioè i popoli delle città che non vogliono essere distrutte come diceva La Pira, può svolgere il suo ruolo con il contributo di coloro che, dentro avversità e contraddizioni, perseverano nel seguire la corrente profonda della storia che conduce alla fraternità.
QUI il link al comunicato finale dell’incontro del 18 febbraio
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