Zuppi, la pace non è questione di anime belle
Anche la tv pubblica ha dato notizia della prima visita di un presidente dei vescovi italiani alla sede del ministero degli Esteri, l’enorme palazzo della Farnesina, il secondo per grandezza dopo la reggia di Caserta come ha detto il ministro Antonio Tajani accogliendo con cortesia e amicizia il cardinale Matteo Maria Zuppi nella scenografica sala deputata agli incontri con le delegazioni estere. Uno spazio ordinato, con una serie di eleganti tavoli disposti in una forma quadrata paritaria, sormontati da un lampadario di luci candide, che rappresenta plasticamente il contrasto visivo con la sensazione del caos che bussa alle nostre porte. Le ultime notizie ancora da decifrare sono quelle del repentino cambio di regime in Siria mentre il mondo intero si interroga sulle conseguenze del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che già è tornato sulla scena pubblica internazionale mostrandosi accigliato alla cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre Dame a Parigi. Chissà di quali verità celate sono depositari gli ambiti diplomatici che, come rivelano gli studi storici, sono la fonte della conoscenza profonda della realtà dei fatti nascosta dietro un necessario basso profilo mondano.
L’occasione per la presenza del cardinale di Bologna alla Farnesina è stato l’incontro promosso dall’Ente nazionale del microcredito presieduto attualmente da Mario Baccini, politico di centro destra di estrazione dc, attualmente sindaco di Fiumicino. Il microcredito è, in effetti, una forma di cooperazione internazionale efficace come dimostra l’Italia nella sua storia del secondo dopoguerra, quando affrancandosi dagli orrori del colonialismo, ha intessuto rapporti con i Paesi del Sud del mondo in maniera contrapposta all’espansionismo delle grandi multinazionali anglo americane, come dimostra la storia emblematica e tragica di Enrico Mattei.
La via italiana alla pace
La sala dell’incontro è stata quella dove, da giovane prete romano impegnato con la Comunità di Sant’Egidio, il futuro cardinale Zuppi incontrò le delegazioni delle fazioni in lotta in Mozambico che, nel 1982, grazie alla mediazione di quel giovane movimento nato nel 1968 a Trastevere arrivarono ad un accordo di pacificazione. Un esempio che l’allora segretario generale dell’Onu, il copto egiziano Boutros Ghali, definì “la via italiana alla pace”, indicando la possibile strada del nostro Paese ad essere un attore attivo e positivo sulla scena internazionale. Evidente, al tempo, la collaborazione con le istituzioni pubbliche. Non si può continuare a dire “diplomazia parallela” ha detto Zuppi, perché le linee parallele, per definizione, non si incontrano mai.
È una strada praticabile, quella concretamente a favore della pace, oggi davanti ad una scena mondiale cambiata radicalmente? Tajani ha fatto riferimento alla solidarietà italiana verso un centinaio di bambini di Gaza accolti nei nostri ospedali pediatrici grazie agli accordi con i francescani della Custodia di Terra Santa. Sono attivi anche i canali dei corridoi umanitari verso i migranti in fuga dalle guerre grazie alla collaborazione con le associazioni umanitarie.
Ma è evidente che il tema richiesto a Zuppi è qualcosa che va oltre l’encomiabile solidarietà che trova spazio dentro i rigidi confini della real politik. Il cardinale presiede la conferenza dei vescovi che, nello stesso giorno, tramite la Fondazione Migrantes, ha presentato un report sul diritto d’Asilo che critica puntualmente la politica del governo in carica.
La lezione di Zuppi sull’amore politico presentata davanti ai diplomatici esteri e agli alti funzionari del ministero, compresi rappresentanti dei vertici militari, ha volato molto alto senza restare astratta. La sera prima aveva presieduto una veglia di preghiera per la pace molto affollata in piazza Santa Maria in Trastevere nella consapevolezza che questa generazione è simile a quella dei “sonnambuli” del secolo scorso diretti verso il baratro del primo conflitto mondiale.
L’inutilità della guerra
Se i toni dell’incontro, come detto, sono stati improntati ad un clima sereno, con il moderatore Piero Schiavazzi, noto giornalista e docente di geopolitica vaticana alla Link Univerty di Roma, intento a ricordare le comuni antiche origini di Tajani e Zuppi, l’intervento del presidente della Cei è stato molto puntuale nel definire una visione oggettivamente contraria a quella oggi prevalente che «considera la pace un’idea da “anime belle”, a volte apprezzate, altre volte accusate per la loro ingenuità o giudicate come pericolose per la concezione che generano per chi pensa la guerra l’unica possibilità».
Zuppi ha ricordato che papa Ratzinger ha scelto il nome di Benedetto rifacendosi al pontefice inascoltato, Benedetto XV, che nel 1917 si rivolse ai capi delle nazioni per chiedere di porre fine all’inutile strage della cosiddetta “grande guerra”. «La guerra – ha ribadito Zuppi- appare per ciò che è: inutile. Ciò che accade a Gaza non darà uno Stato ai palestinesi né aumenterà la sicurezza di Israele. Allo stesso modo la guerra in Ucraina non servirà alla Russia per recuperare ciò che aveva ai tempi dell’Urss, né a Kiev per ottenere la vittoria. La vittoria è una chimera per tutti: non ci sarà vittoria per nessuno ma solo un cumulo di macerie».
Parlare ai diplomatici definendo la vittoria come “una chimera” vuol dire contestare oggi l’assunto dominante nelle cancellerie mondiali che porta, come ha precisato il presidente della Cei, alla «eternizzazione dei conflitti nell’attuale situazione geopolitica: una guerra che non finisce più ma che non ottiene nessuno degli obiettivi che si è data, da qualunque parte la si guardi. Per uscire dal tunnel (o da più tunnel) occorre tornare a parlare di pace e delle ragioni della pace». Avendo ben presente, tra l’altro, che certamente «la pace non è mai perfetta. Ma bisogna rimetterla al centro dell’agenda internazionale». La Chiesa non può essere neutrale perché si pone dalla parte delle vittime: «Parlare di pace significa guardare in faccia la guerra e le sue conseguenze per quello che veramente è: partire non da ragionamenti astratti, geopolitici, ideologici, giuridici o politicisti ma partire dalle vite spezzate».
È questa l’unica prospettiva realista secondo Zuppi, mentre «gli idealisti illusi sono coloro che pensano che la guerra risolve. La guerra non risolve ed è inutile».
La missione dei diplomatici
Il cardinale si è rivolto ai diplomatici riconoscendo nella vocazione di questa professione un naturale ricerca della pace perché il realismo ci dice « che soltanto la convivenza pacifica, fatta di un continuo negoziato tra popoli, religioni e identità diverse, può dare come frutto quell’unità del genere umano a cui tutti tendiamo».
Nel discorso alla Farnesina, il cardinale ha citato numeri da orrore (un milione di vittime immolate finora nello scontro tra Russia e Ucraina) fino a spingersi a riscontrare la crescita delle democrazie illiberali di cui alcuni Paesi sono dei precursori evidenziando delle caratteristiche ben precise: «reazionari sui migranti; sovranisti contro l’unità europea; laicisti contro la religione; libertari e fochisti per le scelte individuali; pub del mercato finanziario globale quasi da paradiso fiscale; favorevoli alla guerra». «La globalizzazione – secondo Zuppi -ha separato molto di più di quanto abbia unito e oggi va in crisi assieme a molti valori e al multilateralismo».
In fondo se il cardinale ha iniziato, da tempo, a parlare di Camaldoli europea è perché ci troviamo di fronte ad un crollo imminente di un sistema politico così come nel 1943 era imminente, in Italia, la fine tragica del regime fascista e occorreva porre le fondamenta di un nuovo ordine politico.
Da dove ripartire oggi? Zuppi non ha dubbi citando come primo esempio da seguire quello di Giorgio La Pira. Praticamente, al di là delle agiografie che lo intrappolano nella definizione del sindaco santo, un eretico del pensiero e della prassi politica prevalente. Per definire la situazione odierna Zuppi ha citato uno scritto del 1933 di Heinrich Mann (il quale, ndr, litigò con il più famoso fratello Thomas proprio sulla legittimazione della guerra) che descrive «un clima di odio e guerra che fa ammalare tutta la società e fa male soprattutto ai giovani che si trovano in un contesto in cui il futuro scompare».
Una luce nella notte
Parole e concetti da meditare per un dialogo aperto sulla politica estera italiana chiamata a confrontarsi seriamente con la guerra. Nello stesso giorno il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Carmine Masiello, presente all’incontro con Zuppi, ha rilasciato un’intervista a Repubblica ribadendo che «oggi bisogna prepararsi all’ipotesi peggiore» mentre il giorno dopo il neo segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha parlato ai Paesi dell’Alleanza per ribadire la necessità di «passare ad una mentalità di guerra» spingendo la spesa in armi oltre il 2% del Pil.
C’è bisogno di luce nella notte. Come quella accesa, alla fine della riunione alla Farnesina, sull’albero di Natale allestito dai carabinieri nell’atrio del palazzo del ministero con la novità, sottolineata da Tajani, di un presepe in legno proveniente da Betlemme e un quadretto sovrastante di una Natività di fattura etiope, che molto ci può dire della nostra storia patria da cui trarre lezione.
Il cardinale, che spontaneamente viene chiamato don Matteo e al quale è difficile non dargli del tu come ad uno di famiglia, ha, infine, benedetto albero, presepe e tutti i presenti. Ne abbiamo bisogno.
Qui il testo integrale del discorso citato