Zona d’ombra, una scomoda verità
Il football negli Stati Uniti è una passione collettiva, paragonata a una poesia sublime e a Shakespeare. Eppure contiene molta violenza, scontri tra teste effettuati in piena forza, gli incitamenti degli allenatori sono come quelli dei sergenti istruttori nelle peggiori guerre, i mezzi per tenere sul campo i giocatori infortunati sono a dir poco disumani. Tutto questo si apprende in brevissimi flash o spiegazioni verbali, perché il film non dedica tempo a mostrarci questo sport, quanto a narrarci le indagini che un medico compie, mediante autopsie, sulle morti precoci di vari giocatori, scoprendole derivate dal gioco stesso.
Il regista Peter Landesman parla di fatti veri, con una sceneggiatura tratta da un articolo-denuncia di una giornalista, che ne ha poi scritto anche un libro. Il medico (uno splendido Will Smith), venuto dalla Nigeria, ha una forte preparazione professionale, ma è un perfetto sconosciuto. Ha un suo modo di rapportarsi con i cadaveri, parlando loro e chiedendo il loro aiuto, insomma vivendo il suo lavoro con tutta l'anima. E così riesce a intuire particolari importanti, che sfuggono agli altri. Ha una religiosità vivace e la sua fede lo aiuta nei momenti più difficili, nei quali sente di seguire la coscienza senza cedimenti a minacce di sorta. E in questo lo aiuta la moglie, anche lei venuta dall'Africa, che gli ricorda le sue origini e la moralità dei padri.
Gli si contrappongono gli organizzatori sportivi, che in quella città avevano fatto costruire un campo grandioso e favorito una tradizione che fruttava loro grandi guadagni. Un'immagine dell'America violenta e interessata solo al denaro. Ma, presto alcuni di loro si mettono dalla sua parte e con il tempo lo smascheramento dei pericoli del gioco arriva ai mass media.
Il film si avvantaggia di uno stile narrativo elegante che, pur mantenendo sempre vivo il coinvolgimento senza mostrare violenze, ma solo timori e apprensioni, risente del carattere mite e intelligente del protagonista, che si oppone allo sfondo percepito di cieca bestialità. Insomma un film che coinvolge, perché attuale, mostrandoci un esempio di come nei nostri tempi può incominciare a incrinarsi una tradizione nociva, anche se parecchio radicata nella gente. È insomma portatore di speranza.