Zisa, paradiso in terra
Palermo, città-mosaico di cui ogni tessera è espressione di mondi diversi. Città che nel corso della sua storia ha sempre mostrato una attitudine a costituirsi luogo d’incontro interculturale, come testimoniano il paesaggio, la lingua, i monumenti, la cucina, il tessuto urbano, la stessa convivenza del culto della patrona santa Rosalia con quello del santo copatrono di origini africane Benedetto il Moro.
Città che in questo 2018 di timori e chiusure all’accoglienza di popoli diversi, in cui è eletta capitale della cultura, riafferma forse non a caso la sua vocazione al dialogo. Ne è simbolo la “Lapide Quadrilingue” (in giudaico, latino, greco e arabo) custodita nel Palazzo della Zisa: una stele funeraria datata 1149, che integrando i diversi sistemi di datazione del mondo esprime la multietnicità della corte di Ruggero II e il rispetto per le diverse religioni e popoli residenti in Sicilia. Una corte, quella normanna, che ambì a creare un regno mediterraneo tramite la fusione della tradizione centroeuropea con quella araba, latina e greco-bizantina.
Il Palazzo o Castello della Zisa. Chi non ha sentito almeno nominare questo gioiello che fa parte del percorso arabo-normanno dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità? Esclusivo di Palermo, Cefalù e Monreale, questo particolare stile si caratterizza per l’unione di due mondi opposti: quello musulmano e quello cattolico del popolo proveniente dalla Normandia francese, subentrato in Sicilia dopo due secoli e mezzo di dominazione della Mezzaluna.
Nell’isola dove gli arabi avevano introdotto i gelsi e la seta facendo di Palermo uno tra i più importanti centri di scambio tra Oriente e Occidente abbellito da palazzi, moschee (ve ne erano 500!), giardini e fontane, i normanni vollero emulare tanta magnificenza, servendosi di maestranze provenienti dal Maghreb. Ed ecco nascere quello stile arabo-normanno oggi rappresentato da alcune costruzioni civili e religiose dell’epoca: per limitarci a Palermo, il Palazzo reale, la Cappella palatina, la Cattedrale, le chiese di San Giovanni degli Eremiti, della Martorana e di San Cataldo, il ponte dell’Ammiraglio e infine – oggetto di questo itinerario – il Palazzo della Zisa, dall’arabo al-Aziza, ovvero “la nobile, splendida, gloriosa”.
Sorge nella periferia nord-occidentale di Palermo, al limitare di un’immensa piazza adorna di giardini e bacini d’acqua che ricordano quelli esistenti originariamente. Eretto extra moenia prima della morte di re Guglielmo I (1166), venne poi completato di decorazioni sotto il regno del figlio Guglielmo II e comprendeva una cappella dedicata alla Santissima Trinità, collegata alla Zisa da un corridoio ad arcate, e un bagno termale, tipica espressione di benessere per la cultura araba.
Questo luogo di delizie, banchetti, convegni e scambi culturali subì le prime trasformazioni nel XIV secolo e altre in quelli successivi, passando di mano in mano, tra periodi di abbandono e degrado, saccheggi vandalici e restauri non sempre intelligenti. Attualmente ospita il Museo d’Arte Islamica.
È un parallelepipedo merlato a tre piani alto quasi 26 metri, che presenta a metà dei lati corti due snelle torri quadrate. L’interno, assai complesso, è composto da ambienti pubblici e privati. Il più spettacolare è la grande Sala della Fontana dai raffinati mosaici e dalle tipiche muqarnas arabe (le volte decorate a stalattiti o ad alveare). Dalla nicchia con la fontana che dà il nome a questo luogo di rappresentanza scaturisce l’acqua che, scivolando su una lastra marmorea a chevrons (decorazione formata da una serie di tratti disposti a V), tramite una canaletta che taglia al centro il pavimento per arrivare al bacino esterno, anima l’asse centrale del giardino.
Nelle varie sale sono esposti significativi manufatti provenienti da Paesi del bacino del Mediterraneo: fregi e utensili di uso comune o di arredo, come le eleganti musciarabia, paraventi lignei a grata con disegni e motivi ornamentali che simulano un merletto.
Progettata come residenza estiva reale in tempi in cui non esisteva l’aria condizionata, la Zisa venne posizionata rivolta a nord-est, verso il mare, in modo che la brezza notturna inumidita dal passaggio sopra la grande peschiera antistante, entrando attraverso i tre fornici della facciata e la grande finestra del piano alto, circolasse continuamente, rinfrescandoli, negli ambienti attraverso canne di ventilazione presenti nei pavimenti. Inoltre le torrette laterali, catturando i venti grazie ad un sistema di canalizzazione, creavano un “effetto camino” che assicurava nei mesi più afosi il condizionamento termico dell’intero edificio.
Se già quanto ci è pervenuto di questo esempio superbo di sincretismo etnico fa pensare al regno delle Mille e una notte, immaginiamo come doveva apparire all’epoca del suo massimo fulgore con le decorazioni e gli arredi a posto, con l’ombra discreta dei giardini e dei padiglioni in essi disseminati, con il mormorio delle acque zampillanti per ogni dove e i canti di uccelli esotici nelle voliere…: un vero paradiso in terra! Ciò che appunto significa Genoard, nome del grande parco di caccia nel quale era inserita la Zisa delle origini. Quel paradiso che l’uomo, nostalgico di quello vero, si è sempre illuso di ricreare sulla terra.