Zingari d’Italia

  Prigioniero di stereotipi e discriminazioni, un popolo che cerca il riscatto.  
zingari
Aljus Beciri, a soli 26 anni, è vicepresidente di Amalipce (amicizia), una squadra di calcio iscritta da quattro anni in serie D. Sin da bambino usava il pallone come cuscino per dormire. La cinepresa invece, è la passione di Laura Halilovic, che a 17 anni ha vinto con il corto Illusione, il Festival “Sotto-18” di Torino. Malèna è mediatrice culturale, ha 23 anni e un diploma: è il volto amico di uno sportello informativo per i suoi connazionali. Nadia, dagli occhi verdi ridenti, vuol diventare una ballerina: la scioltezza dei movimenti e i passi armoniosi fanno ben sperare.
Storie di giovani comuni a ogni latitudine del nostro Paese. Per Aljus, Laura, Malèna e Nadia c’è però un “ma”: sono sinti, rom, zingari. Questa per noi è la loro prima identità. Ladri, sporchi, accattoni, analfabeti e pericolosi, l’identità che gli viene attribuita senza possibilità di replica, quella che essi tentano con tutte le forze di scrollarsi da dosso. «L’emarginazione, il furto e l’accattonaggio non sono espressioni culturali del popolo rom – continua a spiegare Santino Spinelli, docente di Lingua e cultura romaní all’università di Chieti –. Si tratta di fenomeni sociali e come tali vanno affrontati. Lo stesso nomadismo attribuito al popolo romanì è frutto di politiche persecutorie, di guerre, come quelle della ex-Jugoslavia, che li hanno spinti a spostarsi continuamente. I rom non sono apolidi, senza casa e perennemente squattrinati. Ma sono obbligati a esserlo».
Nel fervore dell’ultima campagna elettorale, gli è stata persino costruita una città su misura: zingaropoli, segno che gli stereotipi sono proprio difficili da scalzare. Le città zingare, autorizzate dal nostro Paese in forma di campi, sono invece lo specchio della negazione del diritto di una nazione civile. Container metallici, baracche di legno con tetti in eternit, roulotte in mezzo alla spazzatura, acqua potabile a giorni alterni, raccolta dei rifiuti a singhiozzo, elettricità provvisoria, possono forse chiamarsi case? Qui bisogna crescere bambini, celebrare ricorrenze e viverci, giorno per giorno, anche per quarant’anni.
Anomalia italiana
I campi sono un’anomalia tutta italiana, conferma il rapporto della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato sulla condizione dei rom e dei sinti nel nostro Paese. Parla di «condizioni inumane e degradanti, incompatibili con qualsiasi progetto di inclusione e integrazione, dove si riproducono condizioni di crudele emarginazione». Eppure qui vivono Aljus, Malèna e Nadia.
All’ingresso del campo della Favorita a Palermo il benvenuto è dato dalla carogna di un ratto. Le parole scritte, purtroppo, non emanano l’olezzo della spazzatura che qui si respira 24 ore al giorno, non perché i rom «amano sguazzarci – spiega Aljus – ma perché due cassonetti per 200 famiglie sono troppo pochi». In quel degrado fatto di cavi elettrici sospesi a un albero secolare e di tubi di plastica che dalla cisterna portano acqua alle baracche – siamo in un campo autorizzato – c’è pure la moschea: neppure l’invivibilità può spegnere lo spirito.
In via di Salone a Roma, altra aria: qui c’è un muro di cinta con telecamere e poliziotti che all’ingresso del campo chiedono i documenti. Malèna, deve sottoporsi ai controlli, anche se ha la cittadinanza italiana, ottenuta grazie a una maestra che l’ha aiutata pure per il diploma. La scuola si rivela, spesso, il luogo di accoglienza più idoneo, e di fatto tanti ragazzi studiano ma, non avendo poi il riconoscimento della cittadinanza né in Italia, né nei Paesi di origine, per l’assenza di trattati bilaterali, non riescono a ottenere titoli di studio e neppure la patente.
Nel rapporto del Senato i numeri parlano di un popolo giovane − il 60 per cento ha meno di 18 anni −, ma di una speranza di vita inferiore di dieci anni rispetto agli italiani. Si contano tre le 140 mila e le 170 mila presenze, appena lo 0,2 per cento della popolazione. Tanti fuggono in Francia o in Germania, dove le condizioni di vivibilità sono migliori ed è più semplice ottenere casa e lavoro. Una Ricerca quali-quantitativa su italiani, rom e sinti effettuata nel 2008, ha messo in luce come il 35 per cento dei nostri concittadini sovrastimi la presenza di rom e sinti, collocandola tra l’uno e i due milioni di persone. L’84 per cento del campione è poi convinto che gli “zingari” siano prevalentemente nomadi, mentre in realtà l’80 per cento è stanziale. In Italia, poi, manca un piano nazionale: l’Unione europea, che proprio il 24 giugno ha approvato un piano per l’integrazione dei rom, ci ha parecchio bacchettati, poiché senza una strategia politica non si può attingere alle risorse finanziarie per assicurare istruzione, assistenza sanitaria, occupazione e alloggio.
Operazioni impossibili
Eppure di risorse i comuni ne spendono parecchie. Roma per il suo piano nomadi ha stanziato 34 milioni di euro, ma gli sgomberi forzati o concordati come quelli del Casilino 900 (www.21luglio.com) e della Muratella non hanno risolto i problemi; anzi, li hanno accentuati. Graziano Halilovic, rom e presidente di Romà onlus, ha realizzato, con costi minimi, una vacanza per la comunità di un campo, impresa fallita per un altro ente che voleva separare i bambini dai genitori: «Operazione impossibile per la cultura rom, dove il nucleo familiare è centrale e non separabile. Se non si conosce la nostra vita si fanno proposte assurde».
“Lavorare con” è quello che stanno facendo a Genova i Focolari e la Comunità di sant’Egidio che, insieme alla comunità rom, hanno attivato in tutte le scuole un programma di scambio tra culture, attraverso laboratori di cucina e d’arte, e con le favole di Sergio Citnic, attore rom. Nelle notti bianche, una piazza ha ospitato le testimonianze dei rom, mentre il 21 gennaio, giorno della memoria, palazzo Ducale ha visto fianco a fianco le autorità e i rappresentanti rom e sinti, per dar volto e parola a questi vicini non sempre scomodi.
 Compassione e timori
Eppure, nel prossimo inverno rischiamo di rivedere le stesse immagini di roghi che divorano bambini o catapecchie, senza aver ideato piani abitativi adeguati. Dopo pochi giorni di compassione e promesse, si tornerà al fastidio per le pressanti richieste di qualche centesimo ai semafori e per gli abiti sporchi, sgualciti, a cui si aggrappano bambini spettinati e scalzi. Poi ci saranno i dati sui fermi per rissa, spaccio di droga, furto e tentativo di rapimento. Il prefetto Francesco Cirillo, nel documento sulle Operazioni di rilievo in Italia afferenti soggetti nomadi dal giugno 2007 al gennaio 2011, parla di 155 interventi in quattro anni, che hanno portato all’arresto di 234 persone e alla custodia cautelare di 542 soggetti. Il furto è l’imputazione più diffusa, legata all’impossibilità di riciclare, nella nostra economia, le loro originarie professioni: giostrai, lattonieri, stagnai, anche se la raccolta differenziata potrebbe offrire loro possibilità lavorative.
Intanto a Milano, Riccardo, otto anni, è stato promosso nonostante 19 sgomberi in un anno, e 16 artisti rom esporranno alla Biennale di Venezia. Romanò Hape, un catering per banchetti e feste messo su da giovani rom romani, sta cercando un suo mercato. Tra i rom ci sono anche 160 tra religiosi, religiose e sacerdoti. Queste sono anche le loro vite. Lo scorso giugno, Benedetto XVI, incontrando oltre duemila zingari da tutta Europa, ha detto: «Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro. Vi invito, cari amici, a scrivere insieme una nuova pagina di storia per il vostro popolo e per l’Europa». Quanto, noi gagè, siamo disposti a farlo con loro?
 Maddalena Maltese
Lavorare con i rom e non per i rom
Nazzareno Guarnieri, 58 anni, laureato in psicologia sociale, è presidente della Federazione romanì, che riunisce le associazioni italiane rappresentative della minoranza zingara. Combattivo, deciso e appassionato della propria identità, precisa subito che lui è un rom italiano. Vive in Abruzzo, una regione che ha favorito l’integrazione del suo popolo.
Cosa c’è dietro il “modello Abruzzo”?
«C’è la scelta chiara di vederci abruzzesi, di non volere campi e di lavorare per le abitazioni, fin dagli anni Sessanta. I rom vivono in Abruzzo da circa 500 anni e sono i più integrati. Non esistono baracche nella nostra regione. Quando a seguito dell’ultima ondata migratoria dai Paesi dell’ex Jugoslavia, l’amministrazione voleva destinare un terreno per l’accoglienza dei nuovi arrivati, ci siamo rifiutati di gestirlo e abbiamo promosso progetti per l’assegnazione di alloggi, perché i campi, così come sono vissuti e organizzati, finiscono col diventare covi d’illegalità. Noi siamo stanziali, non più nomadi come i nostri genitori».
 
Lei propende per lo smantellamento dei campi?
«Sono favorevole a tavoli di lavoro comuni, su cui le soluzioni si progettino con i rom, ma non con il buono di turno o con un rappresentante non sufficientemente preparato. Nel mondo rom ci sono tante professionalità disponibili. Qualche mese fa sono stato a Palermo e ho proposto all’amministrazione di destinare gli alloggi confiscati alla mafia alle 200 famiglie del campo della Favorita, un ghetto invivibile. Contrasti interni alla giunta hanno bloccato il progetto. Talvolta penso che il problema non si voglia risolvere e che tenere i rom in queste condizioni faccia comodo alle logiche politiche che cavalcano gli stereotipi per guadagnare voti. I finanziamenti, poi, danno cospicui benefici alle tante associazioni che lavorano nei campi. Ma i risultati vengono poi valutati da qualcuno? In Abruzzo siedono allo stesso tavolo kosovari, macedoni, serbi, rom italiani e l’emarginazione è inesistente».
Non le sembra però, che anche nel suo popolo esistano elementi di criticità per una convivenza serena?
«Agli incontri con le associazioni rom dico spesso che va fatta autocritica. Anzitutto il rispetto dei diritti va accompagnato dalla pratica quotidiana. Non possiamo pretendere senza poi vivere coerentemente e inseriti nel Paese che ci ospita. Bisogna imparare a collaborare con le amministrazioni per il bene dei nostri figli. Tante volte vendiamo il nostro futuro per un beneficio presente; e invece dobbiamo capire cosa vogliamo. Un esempio: dal 1998 si è avviato un programma comune con la regione Abruzzo per l’alfabetizzazione e contro la dispersione scolastica. Con una spesa di 60 mila euro il tasso di scolarizzazione dei nostri ragazzi è arrivato al 97 per cento e siamo orgogliosi che dieci giovani rom, oggi, frequentino l’università. Tante volte i progetti fatti da altri sono molto costosi, frammentano la nostra identità, ci fanno essere dipendenti, non propositivi, con costi non indifferenti per i comuni. Fateci lavorare insieme».
 
Voi avete investito in un progetto lavorativo singolare…
«Abbiamo appena terminato la pulizia di un fondo agricolo, dove nascerà la fattoria sociale Bravalipè. Vi lavoreranno 18 giovani rom, tre dei quali hanno già cominciato ad allestire gli spazi per il maneggio. Utilizzeremo borse lavoro e le norme per l’imprenditoria, appoggiandoci non tanto su fondi pubblici, quanto sull’autofinanziamento. Vogliamo un’impresa che funzioni e non dipenda da progetti o da colori politici: ci finanzieremo con le attività culturali e agricole».
 
Glossario sulla popolazione romanì
Zingaro: termine con cui, popolarmente, viene additato questo popolo proveniente dal nord-ovest dell’India e che parla il romanès, lingua comune alle varie etnie che lo compongono.
Rom: uno dei maggiori gruppi etnici tra i romanì. Vive nei Balcani, nell’Europa centro-orientale e nell’Italia centro meridionale. Nulla ha a che fare con la Romania o con i rumeni, come ordinariamente si pensa.
Sinti: insediati nell’Europa occidentale e nel Nord Italia, sono soprattutto circensi e giostrai. Di etnia sinti è ad esempio la famiglia di Moira Orfei.
Camminanti: gruppo nomade presente soprattutto in Sicilia.
Manouches: nome dato agli zingari in Francia.
Gitani o kalè: sono chiamati gli zingari stanziati in Spagna.
Romanichals o gypsies: vivono nei Paesi di lingua inglese, Regno Unito, Canada, Usa.
Travellers: zingari irlandesi, di professione stagnai e lattonieri.
Nomadi: sostantivo generico che indica popoli o tribù che tendono a spostare il luogo di dimora.
Gagè: così sono definiti i “non zingari” dai romanì.
Su www.cittanuova.it, lo specialeRom d’Italia con testimonianze e interviste.
LA PAROLA AI LETTORI
E voi che pensate dei rom?
Scrivete a: segr.rivista@cittanuova.it o all’indirizzo postale.
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