Zavoli, il maestro che ascoltava
Sergio Zavoli, indiscusso maestro di giornalismo, soprattutto televisivo, se n’è andato a 96 anni – era nato a Ravenna nel 1923 –, dopo aver attraversato il secolo breve analogico e aver assaporato il nuovo secolo digitale.
Lo si ricorderà per alcune trasmissioni che hanno fatto la storia del giornalismo italiano televisivo, in particolare La notte della Repubblica, all’epoca del terrorismo, Viaggio nel sud (1992) e Nostra padrona televisione (1994); ma fu anche ideatore e conduttore di una trasmissione sportiva come il Processo alla tappa.
Ne ha fatte di cotte e di crude, verrebbe da dire, spaziando dalla televisione (era entrato alla Rai nel 1947 come giornalista radiofonico), alla radio, alla stampa (è stato direttore de Il Mattino di Napoli dal 1993 al 1994 e ha firmato come opinionista per varie riviste come Oggi, Epoca, Jesus, Avvenire). È stato radiocronista, direttore di telegiornali e di Gr, addirittura presidente della Rai dal 1980 al 1986, appassionato di poesia e di narrativa, scrittore prolifico.
Si ricordano, tra gli altri, Viaggio intorno all’uomo (1969), Nascita di una dittatura (1973), La notte della Repubblica (1992), Dieci anni della nostra vita: 1935-1945 (1960); Altri vent’anni della nostra vita: 1945-65 (1965); Figli del labirinto (1974); Socialista di Dio (1981); Romanza (1987); Di questo passo (1993); Un cauto guardare (1995); Dossier cancro (1999); Il dolore inutile (2002); Diario di un cronista (2002); La questione: eclissi di Dio e della storia (2007). È stato anche valente poeta. Verrà tumulato a Rimini, accanto all’amico di sempre, Federico Fellini.
Tra i programmi televisivi va ricordato in particolare Credere, non credere (1995), nel corso del quale sbocciò l’amicizia con Piero Coda, un’amicizia profonda, fatta di lunghe conversazioni serali sulla vita e sulla morte, sulla politica e sulle cose della vita. Pubblicarono a doppio nome un libro Se Dio c’è. Le grandi domande (2000), «intorno al quale a lungo ci siamo affaticati», come scrive Coda.
Curioso e attento, amava far parlare più che parlare, diventando così maestro indiscusso di giornalismo dell’ascolto. Dice Piero Coda a Città Nuova: «Capivo che sentiva l’arte del comunicare come “dare la parola all’altro”. In questo senso possono essere interpretate e riascoltate le sue più celebri interviste, quelle con Paolo VI, con Schwitzer, con Follereau…».
Con Coda, Zavoli cercava anche le dimensioni più spirituali della vita: «La sua esistenza era in qualche sorta un “corpo a corpo” con Gesù, che considerava come “colui che incarna”, introducendo così la strepitosa meraviglia del cristianesimo. Più avanzava negli anni, più la sua sensibilità poetica mutava in preghiera, come testimoniano le sue ultime raccolte».
Zavoli però non era solo giornalista, era anche campione di responsabilità civile: «Ricordo quando entrò per la prima volta a Palazzo Madama – dice ancora Piero Coda – con un entusiasmo da giovincello, perché entrava nel cuore della Repubblica. Poi seguirono, però, le inevitabili disillusioni per una certa barbarie del metodo politico che Zavoli non riusciva ad accettare». Anche la sua amicizia con Fellini va inserita in questo suo impegno civico, professionale, intellettuale, al servizio del Paese: «Con Fellini erano soliti sentirsi ogni giorno, e spessissimo cenavano insieme discorrendo di tutto, in un fiume appassionante di riflessioni d’ogni sorta».
Coda ricorda ancora: «L’ho incontrato poco prima del lockdown del Covid-19, nella sua dimora sul lago di Bracciano in cui si era trasferito negli ultimi anni dopo il nuovo matrimonio. Era già molto debole, ma la sua sensibilità lo portava di continuo a curiosare delle cose dell’Aldiqua come dell’Aldilà».
Zavoli ebbe un rapporto intenso con Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari. Recentemente, per il catalogo della mostra del centenario della trentina, aveva offerto un suo contributo. Aveva poi pronunciato la laudatio della Lubich per il conferimento della cittadinanza onoraria di Rimini, il 23 settembre 1997.
Si ricorda soprattutto la sua pubblica conversazione con la Lubich al teatro Quirino, il 3 dicembre del 2001, in occasione della pubblicazione presso Mondadori del libro La dottrina spirituale, curata all’epoca da un certo Vito Mancuso. Fu una serata di fuochi d’artificio, in cui il dubbioso e gentilmente provocatorio Zavoli interrogava la fondatrice, leader spirituale sulle grandi questioni dell’oggi, del passato e anche del futuro.
Un maestro di giornalismo vs una maestra di vita, verrebbe da dire. Dice ancora Coda: «L’incontro con Chiara Lubich non fu epidermico. Sergio ha penetrato in profondità il mistero del suo carisma, in particolare la figura centrale di Gesù abbandonato, che volle scoprire anche nella sua vita. Era preso e affascinato dalla visione universalistica della Lubich».
Zavoli fu anche vicino al neonato Istituto Universitario Sophia, per il quale pubblicò la prima “cattedra”, nel 2008, che riprendeva il primo discorso di inaugurazione di un anno accademico, col titolo Rovesciare l’anima del mondo. Questione e profezia (2010).
Disse in quell’occasione: «L’uomo è essenzialmente la sua relazione, dal momento che nascendo ha già dentro la contestualità dell’altro, cioè di colui dal quale promana la sua stessa identità, essendo tutti nati – seppure “a sembianza d’un solo”, come dice Manzoni – “da altri per gli altri”. L’altro, come memoria e come premessa di quella “tela apparentemente senza significato che è la storia”, per dirla con Goethe. Nella quale, invece, ciascuno vale tutta l’umanità e deve risponderne per intero. Essendo ciascuno il liberatore di se stesso anche nell’altro. E l’altro in ciascuno di noi».