Paolo VI e le strutture di peccato
Nel 2013 , nell’anno dedicato ad Antonio Genovesi, primo titolare di cattedra in economia e padre dell’economia civile, il professor Zamagni ha rilasciato un’intervista a Città Nuova affermando che
«Il capitalismo è un sistema economico che nasce tre secoli dopo il sorgere, con l’umanesimo civile, dell’economia di mercato. Nella storia abbiamo conosciuto diversi modelli di economia di mercato, e quello capitalista è stato, senza dubbio, dominante fino ad oggi. Adesso, sono molti gli stessi studiosi statunitensi che ne preconizzano la fine».
Oggi il papa ci mette davanti alla necessità di un cambiamento urgente davanti a scenari di autodistruzione. Incontrando l’Edc il 4 febbraio 2017 ha detto che «bisogna puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il buon samaritano del Vangelo non è sufficiente».
Cosa significa concretamente questa sfida di Francesco? In che modo la realtà dell’economia civile può incidere sulle strutture di peccato senza diventare un cenacolo di filantropi?
Per afferrare il messaggio del papa dobbiamo aver presente un concetto ormai ampiamente diffuso nel sentire comune e cioè il principio del Compassionate conservatorism. Si tratta del cuore della dottrina economica dei “neocon” americani inaugurata dal presidente USA George Bush jr. Secondo tale dottrina, all’esigenza di libertà e deregolamentazione dei mercati, si associa non un sistema di regole e di difese, ma un dovere di compassione sociale nei confronti di coloro che le pratiche neoliberiste lasciano ai margini o addirittura espellono dal processo economico. Si tratta dunque di un’idea che rinverdisce una antica tesi dell’economia di mercato capitalistica basata sulla seguente tesi: si conservano le istituzioni economiche ereditate dagli ultimi due secoli di sviluppo capitalistico aggiungendovi tuttavia l’elemento della compassione nei confronti di coloro che vengono scartati o lasciati indietro. Dunque si deve intervenire bensì sugli effetti devastanti e perversi che quell’assetto economico produce, ma non se ne modificano le strutture portanti. Questo spiega, fra l’altro, la diffusione nell’ultimo quarto di secolo della filantropia personale e istituzionale – cosa diversa di quella di un tempo. Oggi la filantropia organizzata serve a convincere la gente che, tutto sommato, si può intervenire, con un sistema di compensazioni sugli effetti senza agire sulle cause dei fenomeni.
La prospettiva che indica papa Francesco e che caratterizza la scuola di pensiero dell’economia civile ribalta questo ragionamento perché focalizza l’attenzione sulle cause delle storture. Ovviamente bisogna lenire le sofferenze ma la priorità è data alla modificazione e alla trasformazione dei fattori causali. Questa idea venne per primo avanzata da Paolo VI nella famosa enciclica Populorum progressio del 1967 con l’espressione “strutture di peccato”.
Fu lui ad indicare per primo che vi sono istituzioni economiche che inducono anche gli onesti e ben intenzionati a produrre risultati perversi, contrari cioè alle proprie disposizioni morali. Quella delle strutture di peccato è un esempio notevole che bene illustra la nozione di responsabilità adiaforica, come si esprime la filosofia morale.
Quali sono queste strutture di peccato?
Prima di tutto quello che riguarda l’impianto fiscale. Bisogna fare chiarezza nel distinguere la tassazione sul reddito, che è troppo alta, da quella sui patrimoni e la ricchezza in generale, che è troppo bassa. Come ha messo in evidenza Thomas Piketty, è questa la prima ragione delle diseguaglianze crescenti, perché il reddito è un flusso e dunque varia nel tempo, mentre il patrimonio è una grandezza stock che si accumula nel corso del tempo e che conferisce potere, anche politico.
Una seconda struttura di peccato riguarda la prevalenza della cultura della rendita su quella del profitto e del salario. Questo spiega perché continua a farla da padrone la speculazione finanziaria che, se non viene arrestata, renderà inutile ogni tipo di intervento, sia pure ingegnoso. Per questo occorre un forte progetto di tipo culturale che faccia comprendere ciò che sanno tutti gli economisti e cioè che la speculazione finanziaria è sempre improduttiva, non crea valore, perché il guadagno di tizio corrisponde alla perdita di caio e sempronio.
Una terza struttura di peccato che va modificata chiama in causa direttamente la questione del lavoro. Come ormai tutti sanno la quarta rivoluzione industriale (la c.d. industria 4.0) e in particolare la progressiva diffusione dei robot intelligenti determinerà una forte contrazione dell’occupazione. L’approccio compassionevole si limita a distribuire bonus per far sopravvivere a chi resta senza lavoro. Ma se il lavoro è prima ancora che un diritto, un bisogno fondamentale della persona umana occorre contrastare il trend attuale basato su politiche dell’occupazione, anziché su politiche del lavoro. Bisogna cioè superare la credenza coltivata negli ultimi due secoli secondo cui l’accumulazione del capitale e l’espansione della base produttiva avrebbero comportato un’aumento dell’occupazione. Una corrispondenza non più valida nel tempo odierno in cui si parla di crescita senza occupazione (jobless growth). E’ un fattore che l’attuale modello di capitalismo tende sempre più a fare a meno del lavoro, perchè dà “fastidio”. Molto meglio dunque sostituirlo con le macchine che non protestano e non fanno scioperi! (Un dato rivelatore. Nel 1990 le tre più grandi imprese di Detroit avevano una capitalizzazione complessiva di 36 miliardi di dollari, ricavi di circa 250 miliardi di dollari e occupavano 1,2 milioni di persone. Nel 2014, le tre maggiori aziende della Silicon Valley avevano una capitalizzazione complessiva di oltre un trilione di dollari, ricavi di circa 247 miliardi, ma occupavano solamente 137.000 lavoratori. Il capitale che soppianta il lavoro!).
Infine, una quarta struttura di peccato chiama in causa la distruzione ambientale provocata dai sistemi di produzione attuali. A questo riguardo la Laudato si’ è la denuncia più decisa di questo stato di cose. Questo papa ha avuto il coraggio di mettere in evidenza il nesso tra un certo modello di organizzazione dell’economia e la distruzione dell’ambiente facendo emergere l’urgenza di correre ai ripari da parte della politica democratica.
Si possono individuare altre strutture inique ma queste quattro sono quelle di maggior rilievo per ogni essere umano, credente o meno che sia. E’ urgente che si affermi tale consapevolezza perché diversamente prevarrà quel conservatorismo compassionevole che si limita – quando va bene – al riformismo, mentre quanto occorre è una strategia di trasformazione degli assetti attuali.
Se si può concordare con la diagnosi, il problema resta la reale capacità di intervenire sulle cause. Al paragrafo 31 della Populorum progressio da lei citata, Paolo VI rifiutava l’insorgenza rivoluzionaria tranne davanti ad «una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune». Ora Francesco nel terzo incontro ai movimenti popolari ha detto che il vero sistema terroristico si ha quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro». Che fare?
Se uno legge il messaggio del papa senza paraocchi ideologici, comprende bene quali azioni porre in essere – che non sono poi così difficili da attuare e mettere in pratica.
Si cominci ad esempio con il chiudere i paradisi fiscali e a dichiarare illegali i contratti di “land grabbing” (accaparramento delle terre). Si muti poi l’impianto dei nostri sistemi tributari e si diano finalmente ali alle tante espressioni dell’economia civile che sarebbero pronte a decollare.
Si ripensi, infine, a contrastare la sotto-cultura dell’individualismo libertario che ha grandemente favorito la nascita di quella che papa Francesco ha recentemente chiamato “l’economia liquida” che si aggiunge, aggravandone la portata, alla società liquida di Bauman. Il problema serio da affrontare, oggi, è che le istituzioni economiche pure inclusive non assicurano affatto una crescita delle istituzioni politiche inclusive. Il risultato è che si restringono gli spazi della libertà, e ciò nel senso che il progresso economico “esige” un regresso socio-politico. Sono dell’avviso che tale questione sarà al centro del dibattito pubblico nel prossimo futuro.