Yukari ed io

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La nebbia grigia del mattino. La strada che porta a scuola. Le automobili che sfiorano il marciapiede. Mi è tutto così familiare, ma provo anche un incolmabile senso di nostalgia: è come se questa fosse l’ultima volta che percorro questo tragitto, che sento questi rumori, che annuso gli odori di questa città. Ho quindici anni, ma sono così basso che sembro ancora un bambino delle elementari e, come ogni giorno, raggiungo la scuola a piedi. Mi fermo alla bottega. La solita routine: panino al prosciutto – crudo, mi raccomando -, bottiglietta d’acqua minerale, gomme da masticare, pago, prendo lo scontrino, saluto il negoziante. – Leo, sono qui! Dani mi aspetta qui (qui al semaforo) ogni mattina, ma anche nel vedere lui provo una strana sensazione oggi. In questo momento avrei voglia di dirgli: “Ti voglio bene, Dani, sei il mio più caro amico”; ma lui lo troverebbe inevitabilmente ridicolo… sono cose che non si dicono agli amici queste, neanche ai più cari: si sanno e basta. – No, non mi sono riusciti i compiti… confidavo in te, Leo… Lo scricchiolio delle foglie secche sotto le suole delle mie scarpe, Dani che parla, il sapore del dentifricio che mi è rimasto in bocca… Perché fino a ieri non ci facevo nemmeno caso? Attraversiamo la strada. Il gioco delle strisce. Piede sinistro nel bianco (evita il nero), destro nel bianco (evita il nero), sinistro nel bianco (evita il nero), destro nel bianco (evita il nero)… Ok… forse non è solo per l’altezza che sembro un bambino delle elementari. Sinistro nel bianco (evita il nero), destro nel… Un’automobile. Un’automobile rossa. Arriva.Veloce. Continua la corsa. Mi urta. Io cado. Lei frena. Riparte. Veloce. Eppure avevo guardato bene: non c’era nessuno – cavoli -, nessuno, lo giuro. Mi rialzo da terra un po’ stordito (devo aver battuto la testa) e raggiungo il marciapiede. Dov’è Dani? Ora che ci penso, quando ho cominciato ad attraversare non ero sicuro che fosse dietro di me; forse si è fermato all’edicola (oggi usciva il suo giornalino preferito): lo aspetterò all’ingresso della scuola. Provo ad aprire il cancello, ma – che strano! – sembra bloccato. Non c’è nessuno nel cortile e anche la strada è momentaneamente deserta. Chi può aiutarmi ad entrare? Dani non si vede ancora… Provo ad aprire di nuovo (senza successo), poi cerco di farmi notare agitando la mano (che odora della ruggine del cancello) da una ragazza che dondola in un’altalena di legno appesa ad un albero nell’altro lato della strada. (Non c’è mai stata un’altalena qui, né un albero…). La raggiungo. Deve avere almeno diciotto anni, è cinese (o giapponese… non ho mai capito come della gente riesca a distinguerli) ed è sorprendentemente bella. Non si è ancora accorta di me: sta dondolando ad occhi chiusi e il vento gioca coi suoi capelli sottilissimi e neri.Anche la sua sciarpa vola al vento e con lei il suo bel cappotto a quadri e i lacci sciolti degli anfibi neri. Tossisco. Per farmi notare. E lei apre gli occhi e mi sorride. Non ho mai visto degli occhi così lucidi e così scuri e così liquidi e così profondi, quasi infiniti. Non ho mai visto degli occhi così. Provo di nuovo quel senso di nostalgia che mi accompagna da stamani, ma è la prima volta che vedo questa ragazza – Ciao… – Stai andando forte! – Sto volando, ma adesso mi fermo: così parliamo. Pioggia di foglie secche rosse e ocra e brune. – Ti chiami? – Leo Leonardo! E te? – Yukari! – Sei cinese? – No: giapponese. Piacere! Mi tende la mano; anche la sua (che stringeva la catena dell’altalena) è rossa di ruggine. – Che fai qui? – Aspetto Dani… Dani è il mio migliore amico e quella è la mia scuola, ma non riesco ad aprire il cancello… – È strano: è come se ti conoscessi da sempre… – Idem! – Anche per te è lo stesso?! – Non lo so: è come se avessimo condiviso una qualche esperienza in comune… – Eppure credo che mi ricorderei di un tipo così buffo! – Sono buffo? – Non fraintendere: nel senso di simpatico, nel senso di carino. – Io carino?! Questa la sento per la prima volta! – Guarda che lo sei… basso, ma carino! – Te invece sei bellissima: mi piacciono i tuoi occhi. – Grazie. – Yukari… e te che fai qui? – Aspetto anch’io… però aspetto da così tanto tempo che non mi ricordo chi o che cosa aspettassi all’inizio… Sono contenta di averti incontrato: cominciavo a sentirmi sola… Da quanto tempo sto parlando con Yukari? Mi sembra che sia passato qualche istante e allo stesso tempo un’eternità… Continuano a cadere le foglie; noi continuiamo a parlare e poi ridiamo assieme, ci confidiamo, cantiamo… Il tempo passa? O si è congelato? Gli occhi di Yukari, i suoi capelli, le foglie che cadono, la ruggine nelle nostre mani, il silenzio intorno, ancora le foglie che cadono (il terreno ne è pieno), ma che non si esauriscono sui rami di un albero che fino a ieri qui non c’era… ieri: cos’è ieri… cos’è il tempo? Mi sento un po’ disorientato. Per fortuna Yukari è con me: anche lei prova le mie stesse sensazioni, mi capisce, mi conforta. Forse non abbiamo vissuto nessuna esperienza in comune… forse è proprio ora, in questo momento, che condividiamo qualcosa in comune, qualcosa di grande… – …sta sv… ando… presto… …ttore… qui, …no qui, …sono qui… Parole a brandelli. – Si sta svegliando, vero dottore? La mamma… la voce della mamma… Una stanza d’ospedale: io sono a letto e a quanto dicono sono stato sei mesi in coma. La mamma mi è stata sempre vicino e anche papà e anche Dani… Ora sono tutti e tre qui e con loro c’è un’altra persona: è giapponese e il suo nome è Yukari. Tre giorni fa, alla stessa ora in cui mi risvegliavo dal coma, anche lei lo faceva, con la differenza che il suo coma durava da due anni. Era in un altro ospedale, ma si è messa subito a cercarmi e grazie a suo padre mi ha trovato ed è venuta a salutarmi. Non abbiamo ancora parlato di quello che ci è successo;per ora ci siamo solo guardati a lungo, in silenzio… Yukari non è così bella come l’ho vista la prima volta: è logico, pensando che è stata due anni in coma (sicuramente anch’io non sono al massimo della forma), ma i suoi occhi sono gli stessi e subito mi colpiscono, mi attraggono, mi stupiscono… Mi chiamo Leonardo, ho quindici anni, ma sembro un bambino delle elementari… solo per l’altezza però! dentro mi sento un po’ cresciuto: ogni giorno vivrò come la mattina dell’incidente, guarderò le cose con occhi diversi e tutto mi sembrerà più bello.

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