Yemen: la coscienza sporca dell’Occidente
Secondo il quotidiano arabo online al-Khaleej, l’erede al trono saudita Mohamed bin Salman avrebbe detto recentemente a una riunione di comandanti militari della coalizione anti-ribelli yemeniti (Arabia ed Emirati): «Non preoccupatevi delle critiche internazionali. Vogliamo lasciare un grande impatto sulla coscienza delle generazioni yemenite. Vogliamo che i loro figli, le donne e persino i loro uomini tremino ogni volta che viene menzionato il nome dell’Arabia Saudita». Se anche non avesse detto queste precise parole, i fatti le confermano. È evidente l’accanimento con cui in Yemen vengono colpiti, oltre agli obiettivi militari, anche scuole e ospedali, perfino funerali e scuolabus. Anche i ribelli houthy non sono da meno, hanno solo meno armi.
In tre anni sono morte oltre 15 mila persone e sono 18 milioni (su 29) gli yemeniti a cui mancano cibo, medicine e acqua potabile. Una terribile (e prevedibile) epidemia di colera, ha già provocato migliaia di morti: secondo Save the Children, i casi sono aumentati del 170% negli ultimi tre mesi nella regione di Hodeidah, dove da giugno si combatte una feroce battaglia per il controllo dell’unico porto in mano ai ribelli. Il 30% dei casi di colera riguarda bambini sotto i cinque anni. Si fa l’ipotesi che i bambini-soldato siano circa 6 mila, arruolati in entrambi gli schieramenti.
I sauditi (fra i primi importatori al mondo di armi) sono supportati militarmente da Usa e Regno Unito: gli Usa hanno in corso un contratto di epoca Obama per una fornitura di armi da 110 miliardi di dollari, Trump punta a raggiungere i 350 miliardi in 10 anni. Armi, mezzi militari, bombe e missili arrivano abbondanti in Arabia Saudita anche da Canada, Francia, Spagna e Italia. Ma nessun governo di questi Paesi ammette responsabilità nello sterminio in atto nello Yemen.
Il caso spagnolo è emblematico: il ministro della Difesa, la socialista Margarita Robles, era seriamente intenzionata a sospendere un contratto stipulato dal governo Rajoy per la fornitura ai sauditi di 400 bombe laser ad alta precisione. Ma il governo saudita ha fatto sapere che se non riceverà le bombe sospenderà l’altro contratto, quello per la fornitura di cinque corvette militari (1.813 milioni di euro). A quel punto, i cantieri Navantia di Cadice sono entrati in sciopero: la costruzione delle corvette avrebbe assicurato il lavoro a 6 mila persone per qualche anno. La ministra ha dovuto fare retromarcia sulle bombe laser.
Il tema dei posti di lavoro è il refrain che collega e giustifica spesso il commercio di armi. Così anche per lo stabilimento sardo Rwm Italia: i 270 dipendenti di Domusnovas senza la commessa di bombe aeree resterebbero senza lavoro. Con un fatturato italiano di armi di 10,3 miliardi di euro nel 2017, naturalmente le esportazioni italiane ai sauditi rappresentano solo una parte del business, comunque stiamo parlando di 52 milioni di euro nel 2017 e 427 milioni nel 2016, di cui 411 solo per le bombe della Rwm Italia (fonte governativa: Uama). L’ex ministra Pinotti (Pd) obiettava che queste armi non le vendeva il governo italiano, ma erano solo assemblate in Italia da un’azienda statunitense controllata da un marchio tedesco. L’attuale ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5s), ha appurato che le bombe per i sauditi non sono di sua competenza, ma del ministero degli Esteri, quindi dirà, chiederà, vedrà… Dal punto di vista della popolazione yemenita, i chiarimenti non cambiano granché la situazione, ma gli italiani possono stare tranquilli: è tutto legale.
Analoghi atteggiamenti in altri Paesi. Alcuni esempi: la ministra canadese Chrystia Freeland afferma non ci sono prove che i 900 veicoli corazzati venduti in passato ai sauditi siano stati utilizzati per violare diritti umani; la Francia (che ai tempi di Hollande ha fornito all’Arabia armi per 455 milioni di euro) è più sfacciata: con Macron è diventata ormai il secondo esportatore al mondo di armi, e fra i suoi clienti più affezionati c’è naturalmente anche l’Arabia; gli inglesi, oltre a sponsorizzare esplicitamente la monarchia saudita, sono attualmente alle prese con una spinosa vicenda del passato: le forniture degli anni Ottanta di bombe a grappolo, messe al bando dall’Onu nel 2010. I sauditi le stanno attualmente usando contro la popolazione yemenita con effetti devastanti.
Che questo ed altri business di armi non abbiano alcuna ripercussione sul “disastro umanitario” in atto nello Yemen è una tesi molto difficile da sostenere.