Yemen allo stremo tra guerra, povertà e Covid 19
Nel sito di Medici senza Frontiere sono state pubblicate nei giorni scorsi alcune testimonianze dirette sulla diffusione del Covid-19 in Yemen. L’organizzazione internazionale, che opera in 72 Paesi del mondo, è presente in Yemen da oltre 30 anni e dal 2007 in modo stabile. Come era prevedibile, e si temeva, la pandemia si sta diffondendo nel Paese, già prostrato dalla guerra, dalla fame e da epidemie di colera, difterite e dengue. Il centro di Msf si trova alla periferia di Aden, in un vecchio ospedale oncologico ristrutturato, ed è l’unico presidio medico dedicato al trattamento del Covid-19.
«Quello che stiamo vedendo nel nostro centro – racconta la coordinatrice Caroline Seguin –, è solo la punta dell’iceberg in termini di numero di persone contagiate e in fin di vita nella città. I pazienti arrivano da noi troppo tardi per essere salvati e sappiamo che molte più persone non vengono affatto e stanno morendo nelle loro case».
Il cortile del centro medico di Aden è occupato da file di bombole di ossigeno, ma è sempre più difficile mantenere il rifornimento, e servono 250 bombole al giorno per mantenere in vita i malati attualmente ricoverati in terapia intensiva. Ma sono insufficienti anche i dispositivi individuali di protezione per medici e operatori sanitari. Le mascherine si lavano e si riutilizzano.
Secondo le notizie disponibili, all’inizio di giugno il Covid-19 avrebbe raggiunto 10 dei 22 governatorati in cui è suddiviso il Paese, con quasi 500 contagi e 122 morti. Ma sono scarse le informazioni relative ad oltre il 60% della popolazione, che vive al di fuori delle aree urbane (18-20 milioni di persone). E la povertà è tale (120 dollari al mese il reddito medio) che il costo delle mascherine, quando si trovano, è insostenibile per la maggioranza delle persone: 300 riyal (0,50 dollari) per quella più semplice e fino ai 5000 riyal (8 dollari) per quella professionale.
Nel contesto sociale di una guerra caotica e frammentata come quella yemenita il concetto di distanziamento sociale è qualcosa di alieno, quasi incomprensibile, rispetto alle bombe, alla fame e ai problemi che ogni giorno mettono in pericolo la sopravvivenza. Nel Nord come al Sud.
Il quadro politico è molto difficile perfino da comprendere. Con un’estrema semplificazione, si può dire che sono in corso due conflitti intrecciati. Al Nord ci sono gli insorti, denominati Houthi dal nome del loro fondatore, prevalentemente sciiti zayditi e filo iraniani appartenenti ad Ansar Allah (partigiani di Allah).
Agli Houthi si contrappongono i sauditi, che sostengono gli yemeniti del sud del governo riconosciuto di Aden. L’Arabia Saudita che combatte gli insorti Houthi è a capo di una coalizione di cui fanno parte anche gli Emirati Arabi Uniti (Eau).
Al Sud, invece, al governo di Aden (quello di cui sopra) si contrappongono i secessionisti del Consiglio di Transizione del Sud (Stc) che sono in contrasto con i sauditi e sono appoggiati dagli Eau. Più o meno così: sauditi e emiratini sono alleati al Nord e contrapposti al Sud.
Al Sud vi è un’estrema frammentazione fra zone filo-saudite che hanno rigettato la dichiarazione di autonomia dei secessionisti e altre filo secessioniste. Accanto e in mezzo ci sono zone controllate da aderenti di al-Qaeda ed altre vicine al Daesh. Un caos inestricabile di tutti contro tutti, «in un territorio ormai costellato da micro-poteri e micro-battaglie» (E. Ardemagni, in Dossier Ispi, Focus Mediterraneo allargato n.13, maggio 2020).
Per rendere le cose se possibile ancora più complesse bisogna tener conto anche degli sfollati interni e dei migranti esterni. Quanti siano gli sfollati interni è difficile determinarlo, comunque nell’ordine di qualche milione. I migranti esterni sarebbero circa 138 mila (Oim), soprattutto etiopi e somali provenienti dal vicino Corno d’Africa. Ma ne arrivano altri in continuazione.
Se aggiungiamo le potenze che armano i contendenti e i produttori di armi che riforniscono gli uni e gli altri si comincia a intuire perché la pandemia di Covid-19 non sia che uno fra gli elementi, forse percepito come neppure troppo grave, con cui gli yemeniti devono fare i conti ogni giorno.
L’assurdo di tutto questo è che i contendenti si rendono conto che ormai nessuno è in grado di prevalere, ma non sanno come uscirne. Come se non bastasse, la petroliera britannica Safer, abbandonata da 5 anni a Nord di Hodeidah, rischia di sfasciarsi disperdendo nel Mar Rosso 140 mila barili di petrolio (oltre 22 milioni di litri). Ci vorrà uno dei peggiori disastri ambientali della storia per smuovere qualcosa?