Xi Jinping vola a Mosca
La settimana scorsa l’Assemblea Nazionale di Pechino ha confermato l’attuale presidente Xi Jinping alla presidenza della Cina Popolare con 2.952 preferenze. Nessuno dei delegati ha votato contro o si è astenuto. La scelta del massimo organo dell’amministrazione del ‘Regno di mezzo’ era attesa, fin da quando nel 2018 l’attuale presidente era riuscito a far eliminare dalla Costituzione il limite di rielezione che prevedeva allora solo due mandati. Di fatto, Xi Jinping diventa un nuovo Mao. Fra il ‘grande timoniere’ che aveva portato a termine la ‘lunga marcia’ e guidato l’immenso Paese fino alla morte e il nuovo leader indiscusso mai nessuno era arrivato a tanto.
Ma il potere di Xi non è solo nella rielezione alla presidenza e a capo della segreteria del partito. È infatti stato eletto anche al vertice della Commissione militare centrale, e questo significa essere a capo dell’esercito più grande al mondo. E non è tutto: il giorno successivo alla sua rielezione l’Assemblea Nazionale ha votato tutti i suoi uomini nelle cariche chiave del Paese. La Cina oggi è, più che mai, Xi; che nel giro degli ultimi anni è riuscito a sconfiggere le opposizioni interne, imponendo il gruppo di Shangai. Infatti varie delle massime autorità al vertice dei poteri di Pechino provengono, come del resto Xi, dalla megalopoli, capitale commerciale e finanziaria della Cina.
La Cina popolare è dunque più saldamente che mai nelle mani del burocrate che ha giurato, particolare non indifferente e anomalo, con la mano sinistra levata con pugno chiuso. La Cina di oggi è senza dubbio lontana anni luce dalla ideologia marxista o da qualsiasi parvenza socialista e comunista: è una potenza economica e finanziaria mondiale in corsa – con i grandi rivali degli Stati Uniti d’America – per il controllo di un mondo che si sta rivelando sempre più bi-polare fra Washington e Pechino. Molti reclamano una multipolarità che sembra essere l’unica soluzione alle tensioni che l’umanità di oggi vive: ma la realtà sembra andare verso una bi-polarità Cino-Americana con altre potenze in gioco (India, Russia, Unione europea) che paiono essere sempre più inadeguate o non credibili per gestire la geopolitica globale del mondo attuale. A confermare questo stato di cose è quanto accaduto fuori dei sacri palazzi della ‘Città Proibita’ dove, ancor oggi come nei millenni, resta quasi impossibile per l’occidente decifrare esattamente quanto stia accadendo.
Infatti il 10 marzo, qualche giorno prima del trionfo all’Assemblea Nazionale, Xi ha compiuto un ulteriore passo importante, questa volta a livello di diplomazia internazionale: Iran e Arabia Saudita hanno annunciato di voler ristabilire le relazioni diplomatiche. E l’annuncio e la firma del nuovo accordo che sancisce un riavvicinamento fra le due grandi potenze del mondo musulmano è stato fatto nella capitale cinese. Non si tratta né di un evento casuale né di limitata importanza: a livello di immagine internazionale è stata una grande vittoria per tutti e due i contraenti l’accordo (Riyadh e Teheran) ma anche per il mediatore (Pechino), che era tuttavia entrato nel processo nella sua fase finale.
È una firma che, dal lato dei due Paesi musulmani, dovrebbe finalmente porre formalmente fine ad anni di tensioni nel Golfo e in Medio Oriente; dall’altro, mette in chiaro il crescente ruolo della Cina come potenza politica nella regione. Il mondo di Xi ne esce con l’immagine di mediatore di conflitti internazionali. E, ciò che più importa, è un successo che esautora gli Usa: che, da quando il mondo era diventato unipolare (dopo la caduta del comunismo nel 1989), si erano autoproclamati gli unici deus ex-machina nel Golfo Persico, finendo per creare e per distruggere e perdendo credibilità e capacità e legittimità di mediazione.
Sull’onda di questi successi interni ed esterni, il neo-rieletto presidente cinese ha annunciato il suo viaggio a Mosca per incontrare Putin [incontro in programma per il pomeriggio di oggi, 21 marzo, ndr]. In questo ambito – la guerra russo-ucraina – è ancora presto per dire cosa significhi questa decisione di Xi. Una cosa è certa: il leader cinese ha atteso di essere pienamente legittimato dall’Assemblea Nazionale, di avere tutti i poteri principali in mano sua o in quella dei suoi uomini, di aver intascato un accordo prestigioso come mediatore fra i due blocchi del mondo musulmano per poter vantare tutte le credenziali necessarie per avventurarsi a Mosca. Ovviamente Xi rinnoverà la sua vicinanza alla Russia putiniana, ma giocherà anche con tipica accortezza asiatica le carte necessarie per una mediazione di cui appare sempre più l’unico possibile attore – tanto da aver ventilato un possibile incontro con Zelensky dopo quello previsto con Putin.
Sempre più il panorama e gli equilibri internazionali stanno cambiando. Come fa notare Filippo Casulo dell’Ispi, «la firma a Pechino dell’accordo tra Iran e Arabia Saudita è figlia di un cambio strutturale in corso da anni». Infatti la Cina è il principale importatore mondiale di petrolio, se è vero che nel 2022 l’Arabia Saudita ha esportato verso il ‘dragone’ ben il 20% della sua produzione totale. Da parte sua, l’Iran trova nella Cina la possibilità di uscire dall’isolamento in cui è stata spinta dalla politica degli Usa e dell’occidente in generale. Se a Xi riuscisse la mediazione nella contesa Russo-Ucraina il mondo sarebbe sempre più bi-polare (Stati Uniti-Cina) ma con il Paese asiatico sempre più protagonista.
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