WTO:prevale ancora il nord
Ad Hong Kong in questi giorni si è concluso, tra le cruente dimostrazioni di piazza degli agricoltori coreani, contrari alla liberalizzazione delle importazioni di riso nel loro paese, il Development Round. Si tratta della serie di riunioni della Organizzazione mondiale del commercio, il Wto, che erano state avviate a due mesi dalla distruzione a New York delle Torri Gemelle, chiamate proprio Centro mondiale del commercio,Wto. Il Development Round era decollato nel 2001 a Doha, nel Qatar, in modo molto promettente: allora i paesi industrializzati sembravano aver capito la lezione dell’11 settembre di quell’anno: per tagliare le radici del terrorismo era necessario migliorare grandemente il funzionamento del commercio internazionale. Le barriere all’esportazione verso i paesi ricchi dei prodotti agricoli dei paesi più poveri, fatte anche di sussidi alle produzioni interne oltre che per l’esportazione dei paesi del Nord, impediscono di fatto ai popoli del Sud di riscattarsi dal sottosviluppo e liberarsi dal debito estero. Per raggiungere questi obiettivi non sarebbe sempre necessario l’aiuto del Nord, basterebbe in molti casi che essi potessero esportare a prezzi di mercato i propri prodotti agricoli. Infatti i paesi industrializzati, mentre proclamano il libero mercato, poi impongono quote di importazione e concedono alle proprie aziende generosi sussidi: gli Usa alla produzione ed esportazione del cotone, il Giappone e la Corea bloccano le importazioni di riso, l’Europa sussidia la produzione di cereali, zucchero, carne bovina e latte: ogni giorno un bovino europeo ha a disposizione oltre due dollari di sussidi, più di quanto moltissimi esseri umani riescono a guadagnare per vivere. Purtroppo gli incontri del Development Round di questi anni si sono succeduti senza risultati: nel precedente incontro la coalizione dei paesi emergenti guidata dal Brasile ha preferito un nulla di fatto piuttosto che accettare le condizioni del Nord, che a loro avviso avrebbero addirittura peggiorato la situazione complessiva. Purtroppo anche ad Hong Kong i delegati del Nord hanno continuato il gioco delle tre carte: togliamo i dazi alle importazioni… ma escludendo i prodotti più importanti; oppure togliamo tutti i dazi ma ai soli paesi poverissimi e non a quelli che possono davvero competere nelle esportazioni. La lezione del settembre 2001 sembra dimenticata, ma forse non per pura insensibilità: la rinuncia a sostenere le produzioni agricole interne dopo decenni in cui il sistema produttivo si era adeguato ad esse, se non programmata e preparata, produrrebbe forti ripercussioni. Lo dimostrano le proteste di questi giorni dei lavoratori del nostro meridione per la conclusione del negoziato agricolo europeo, in cui l’Italia ha dovuto accettare una riduzione dei sussidi alla produzione di zucchero. Se infatti non si provvederà ad una loro riconversione, tredici zuccherifi- ci del meridione dovranno chiudere. Tutto questo non è certo gradito ai nostri politici, se si pensa che queste istanze si sommano alle difficoltà provocate dalla crisi dovuta alla concorrenza cinese, alla difficoltà generale per l’impennata dei prezzi petroliferi, alla rivalutazione dell’euro sul dollaro e così via. È indubbio che stiamo vivendo un momento di transizione epocale: come è successo in passato, e tanto più grazie ad Internet che rende possibili cooperazioni produttive a livello internazionale in precedenza neppure immaginabili, anche in futuro continuerà ovunque la promiscuità delle produzioni nei vari settori. Ma il grande divario tra le legislazioni ambientali ed il costo e la tutela del lavoro tra Nord e Sud del mondo, assieme alla libertà di movimento dei capitali, fanno prevedere un sempre maggiore stagliarsi a livello mondiale di una nuova divisione del lavoro, che durerà fintanto che saranno vere le disparità di condizioni che oggi la stanno provocando. Così la questione sociale è diventata questione mondiale. Così il basso costo delle tute blu della Cina fa di quel paese la fabbrica del mondo; il basso costo dei colletti bianchi dell’India ne farà probabilmente l’ufficio del mondo: una occasione di grande sviluppo per entrambi i paesi. Quando saranno abbattuti gli attuali ostacoli al commercio dei prodotti agricoli, che ad Hong Kong ci si è ripromessi di eliminare, ma solo entro il 2013, altrettanto sviluppo sarebbe possibile per l’America Latina e l’Africa, che potrebbero mettere a disposizione le loro ricchezze di territorio e di clima per le necessità del mondo intero. Intanto il mondo del Nord, se anche non volesse rinunciare alla indipendenza alimentare, dovrebbe almeno smettere di competere in modo scorretto con le esportazioni dei prodotti del Sud; queste produzioni da noi offrono pochi posti di lavoro, mentre nel Sud del mondo rappresentano la maggiore risorsa di occupazione produttiva. Magari il Nord potrebbe convertire le proprie aziende del settore in modo da ridurre la propria dipendenza dalle importazioni energetiche. Il Nord rimarrà comunque a lungo leader nella gestione finanziaria e commerciale mondiale: molte delle imprese cinesi ed anche indiane in effetti sono imprese americane o europee installate in Cina ed in India, ed altrettanto si può dire per le grandi aziende agricole brasiliane e argentine. Il Nord potrà rimanere anche leader della innovazione e della ideazione dei beni immateriali, basti pensare che una delle industrie trainanti della California è la produzione cinematografica; ma in questo settore molte possono essere le sorprese dei prossimi anni. Per gestire una transizione senza traumi a questo scenario forse ineluttabile di un futuro abbastanza prossimo, sarebbero necessari politici di grande statura, assistiti e supportati da una società civile di respiro internazionale, consapevole che le battaglie contro la storia sono perdute in partenza; politici convinti che il loro primo servizio pubblico consiste nell’aiutare la comunità nazionale a gestire il cambiamento, avendo presenti anche le esigenze degli altri popoli. Politici cioè capaci, come dice Chiara Lubich di amare la patria altrui come la propria. Questo amore offre il discernimento necessario ad un agire coerente e positivo; occorrono persone capaci di mettere a rischio la propria rielezione, pur sapendo che se non fossero rieletti non potrebbero più essere ugualmente utili, ed una società civile illuminata che li sappia supportare. Esistono politici di così grande rilievo? Ne possiamo elencare vari del secolo scorso, come i costruttori dell’Europa De Gasperi e Schumann, ed anche Igino Giordani: politici la cui statura umana si è accompagnata ad una grande statura spirituale. Ma vi sono, a mio avviso, anche politici di tal fatta più vicini ai nostri tempi: come Kohl, che ha saputo, pur pagando un prezzo politico personale molto alto, cogliere il momento per riunificare le due Germanie; ed anche politici ancora in carica, come il nostro presidente Ciampi, che con il suo comportamento esercita una vera azione educativa positiva sulla comunità. Questi politici sono quelli che si definiscono statisti, cioè uomini che costruiscono lo stato e che rendono attraente anche ai giovani l’impegno politico. Se il mondo volesse chiedere un regalo di Natale, forse quello più utile sarebbe che sorgesse nei paesi del Nord come del Sud, nei paesi ricchi e poveri, una schiera di statisti così.