Wenders, fotografo della Terra
Iluoghi hanno memoria. Ricordano tutto. Il ricordo è inciso nella pietra. È più profondo delle acque più profonde. È come sabbia delle dune, che si sposta di continuo . Ci accoglie con questa frase Wim Wenders. Il regista tedesco si definisce un fotografo di luoghi, quelli in cui trascorriamo tutta la vita, o che visitiamo solo per un momento; luoghi che scopriamo per caso, o che ci attirano per il nome che hanno sulla mappa; oppure che non vedremo mai più e non dimenticheremo mai. Wenders non è solo l’autore di film cult come Il cielo sopra Berlino, Fino alla fine del mondo, Lisbon story, Buena vista Social Club. Egli ha sempre fotografato, con lo scopo di conservare un diario visivo dei suoi film. Ha iniziato nel 1983 nel West americano durante le location di Paris, Texas, e la ricerca del colore e della luce è diventata man mano un’altra forma espressiva della sua arte. Che ora consegna alla contemplazione dello spettatore nelle sessanta immagini, alcune di grandi dimensioni, esposte nella mostra romana. Sono fotografie che non raccontano storie. Catturano frammenti. Di paesaggi urbani o naturali, dove l’uomo è quasi sempre assente, ma di cui si avverte la presenza, le tracce che vi ha lasciato: come nell’interno di un motel con tre poltrone a semicerchio che lasciano intuire una conversazione avvenuta, o una sosta ristoratrice di qualcuno che ha poi ripreso il viaggio. Sono visioni di una natura incontaminata, di orizzonti sconfinati, di città e di montagne, di carcasse di automobili nei deserti australiani, di motel e pompe di benzina abbandonati nelle assolate e polverose strade dell’Arizona, di autobus azzurri in depositi all’aperto che si confondono col cielo. Di tutto questo cogliamo il respiro. Anche nel silenzio mortifero delle macerie di Ground Zero, nella verde foresta di bambù in Giappone, o nelle facciate di L’Avana. Luoghi tutti nei quali si sente chiamato per poi saperli ascoltare e lasciarsi sopraffare. Anche in questi luoghi – afferma Wenders – scorgo la creazione di Dio, e lo ringrazio di avermi dato gli occhi per poterli vedere… Mentre realizzavo questi scatti mi sono sentito piccolo davanti all’universo. Nella sua personale visione della Terra sfata quel luogo comune che vuole la fotografia come un istante congelato nel tempo. Per Wenders essa apre invece le porte del tempo, ad altre visioni. E ci consegna un atteggiamento interiore dello sguardo. Immagini dal pianeta Terra. Roma, Scuderie del Quirinale, fino al 27 agosto. (Cat. Contrasto)