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Un atto di denuncia contro l'egoismo e il razzismo. Ma anche un omaggio all'amore eroico di due giovani.
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Premiato dal pubblico a Berlino, esce ora il film di Philippe Loiret. Finalmente un’opera francese priva di dialoghi logorroici, con una sceneggiatura agile, una fotografia sporca e desolata, e degli interpreti – in particolare Vincent Lindon – totalmente calati nel personaggio e diretti con un’assoluta aderenza alla storia. Che è poi quella, tristissima, del diciassettenne curdo Bilal, che dopo tre mesi di viaggio non riesce ad imbarcarsi clandestinamente a Calais per l’Inghilterra , dove si trova la fidanzata. Il ragazzo allora fa amicizia con l’istruttore di nuoto Simon (Vincent Lindon), uomo ruvido, che vive la tragedia della separazione dalla moglie, per prepararsi ad attraversare, d’inverno, la Manica a nuoto e raggiungere la fidanzata.

 

Il film è il racconto desolante del razzismo che striscia nelle civilissime Francia ed Inghilterra e mostra senza riserve le autentiche crudeltà verso gli immigrati, ma anche verso i cittadini francesi, denunciati dai loro stessi vicini se ospitano uno straniero: cosa che appunto succede a Simon. Il quale tuttavia non demorde: l’amicizia per il ragazzo si trasforma in affetto paterno, e il dramma del giovane che perisce in mare a soli 800 metri dalle cose inglesi segna il punto più alto del film, e più doloroso, ma anche la presa di coscienza di Simon che in fondo è l’amore ciò che conta. Tant’è vero che deciderà di riallacciare, in qualche modo, il rapporto con l’ex moglie.

 

Teso dall’inizio alla fine, punteggiato da scene che assumono il significato di un inferno contemporaneo – la ripresa in campo lungo del traghetto per l’Inghilterra nel luccichio anonimo del traffico è di una crudeltà impressionante -, ma anche da momenti di amicizia virile ruvidi ma sinceri, il film non è solo un deciso atto di denuncia contro l’egoismo occidentale, ma anche un omaggio all’amore eroico dei giovani e alla loro voglia di libertà, nonostante le durezze implacabili della vita.

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