Webuilding – La costruzione del Noi

Come un'esperienza di gruppo può diventare un'esperienza felice

Immaginati in un gruppo non necessariamente affiatato, chiamato a fare qualcosa insieme. Un lavoro, ad esempio. O un progetto. Ma anche a condividere un obiettivo sportivo, come una squadra di calcio. O fini ideali, come i volontari di una ong o un comitato di quartiere. E, perché no? Una comunità parrocchiale… Ti sarà capitato di essere parte del gruppo, o forse di averne la responsabilità. In un caso o nell’altro a volte sarai tornato a casa arricchito dell’esperienza fatta.

Altre magari, avrai sperimentato un senso di occasione mancata. La dimensione individuale, infatti, il guscio dei propri problemi spesso prevale sulla disponibilità  ad aprirsi all’incontro con l’altro. Passo impegnativo perché richiede di abbandonare le proprie certezze, ma passo di crescita umana.

È il dato registrato in anni di osservazione diretta da Giuseppe Iorio e Mariano Iavarone, entrambi formatori, esperti in dinamiche relazionali, uno docente di scuola secondaria, l’altro consulente psicosociale. Entrambi si sono trovati a guidare gruppi in campo sociale, organizzativo, sportivo, pastorale, formativo, dovendo affrontare molte domande e molte sfide: superare la routine e gli stereotipi, ad esempio, che rendono spesso il messaggio inefficace; aiutare le persone ad andare oltre l’individualità per sentirsi “squadra”; riuscire a fare un’esperienza autentica e significativa, che dia senso al tempo speso insieme. Raccogliere queste sfide e rifletterci su, li ha portati così alla creazione di un nuovo metodo di coesione di squadra denominato proprio Webuilding e cioè “La costruzione del Noi”. Con una parola chiave: il gioco. Sorpresi? Sì, perché la leva principale attorno alla quale ruota tutto il percorso è proprio il bambino, inteso come “funzione psichica attiva in ciascuno”, secondo la definizione dello psichiatra canadese Eric Berne. Ma anche come ritorno a quel “bambino evangelico”, l’unico ammesso da Gesù ad entrare nel regno dei cieli.

Queste le premesse. E allora, chiediamo a Giuseppe Iorio, questo metodo funziona? «Effettivamente il gioco è il nostro punto di forza, ma al tempo stesso il principale ostacolo, perché spesso viene inteso solo come un passatempo, e invece è una cosa molto seria, che ti apre alla gestione delle emozioni, che sviluppa l’aspetto cognitivo e molto altro ancora». Le persone, adulte e poco avvezze al gioco, si lasciano così portare in questa dimensione in cui si conosce meglio se stessi, si sprigiona la creatività, si riesce a stare insieme liberamente, con meno paura e diffidenza.

Il percorso Webuilding si sviluppa in 7 punti: conoscenza di sé, conoscenza e incontro con l’altro, ascolto e comunicazione, gestione del conflitto, accettazione e perdono, cooperazione e, infine, “intimità”, intesa come esperienza di fiducia e affidamento reciproci. «Lo abbiamo già sperimentato con insegnanti e sportivi, e con famiglie che lavorano nel campo dell’affido e delle adozioni– racconta Mariano Iavarone –. Abbiamo presentato Webuilding anche a un gruppo di sacerdoti, a mo’ di laboratorio con esercitazioni e giochi». Ecco la testimonianza di Angelo e Loredana Costanzo, responsabili dell’associazione Progetto Famiglia Solidale di Grumo Nevano (NA): «La nostra è un’associazione di famiglie affidatarie, impegnata da anni nel difficile compito di aiutare bambinie ragazzi, provenienti da famiglie in difficoltà, mantenendo il più possibile il legame con i loro genitori. Un impegno complesso e faticoso che rischia di appesantirci e di fare calare la motivazione quando arrivano criticità da gestire; grazie al percorso Webuilding ci stiamo ritrovando tutti insieme, adulti e ragazzi, a divertirci e a riflettere, a riscoprire i nostri punti di forza, a rinsaldare i legami e a fortificare la nostra mission associativa. Con leggerezza e serietà».

Si tratta di gruppi molto eterogenei, ma la riuscita è probabilmente legata alla forte personalizzazione del percorso. Per ogni gruppo, infatti, si fa un “contratto formativo”, ad hoc. «Lavoriamo sul gioco, poi facciamo dei feedback e una rielaborazione teorica – spiega ancora Iorio –. Molti operatori sono stanchi della formazione cattedratica. Cercano strumenti da portarsi a casa. Esportiamo il metodo, andiamo nella sede in cui siamo richiesti e chiediamo innanzitutto: qual è il tuo bisogno e qual è il bisogno tuo come formatore in questo momento? Quando conduci un gruppo, infatti, in realtà cominci a guidare te stesso».

«Durante il gioco si eliminano le barriere determinate talvolta dai ruoli sociali – dichiara una docente – e si ha l’opportunità di ridere insieme, sfidarsi, vincere e perdere. La relazione ne trae beneficio, e nel caso del gruppo classe, migliorano anche la disciplina e i livelli di apprendimento».

C’è un’ispirazione personale che ha guidato l’elaborazione del percorso? Chiediamo a Iorio e Iavarone: «Sì, è la traduzione laica dell’arte di amare che abbiamo imparato da Chiara Lubich. Non è esplicitata né nel libro che stiamo scrivendo, né nel metodo, ma sottostà a tutto: amare l’altro come sé stesso, amare per primo, vedere l’altro con occhi nuovi, amare anche il nemico. Ma sono principi di carattere universale, comprensibili da tutti e rielaborati sulla base delle teorie dei new games americane, del team building e delle tecniche di counseling».

 

We-building: metodo di formazione per guide dei gruppi

Autori: Mariano Iavarone, Giuseppe Iorio

Gruppo: minimo 8 persone, massimo 60 Workshop monotematico: 8 ore (una giornata)

Percorso base: 16 ore (4 incontri a cadenza mensile o quindicinale)

Percorso avanzato: 60 ore (7 incontri a cadenza mensile o quindicinale)

Week-end residenziale: 20 ore

Campo-scuola residenziale: 50 ore (una settimana)

Corso di formazione: 150 ore (annuale)

Info: www.we-building.net e-mail: info@we-building.net 3929097565 (M. Iavarone) / 3319962199 (G. Iorio)

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