Warfree Service, comunicazione di pace per contrastare la guerra

«La guerra è un’attività commerciale. Ce ne vuole un’altra per farle concorrenza». L’impegno dei giovani sardi nel ripudio dell’industria bellica, un’alternativa all’inattività
Stefano Scarpa, presidente della Cooperativa Warfree Service. Foto: Candela Copparoni

Stefano Scarpa, Riccardo Sulis, Claudio Maccioni e Francesco Serra sono quattro giovani sardi specializzati nell’ambito del marketing e della comunicazione che formano la Cooperativa Warfree Service. La Società è nata nel giugno 2021 con l’obiettivo di essere portatrice di valori quali pace, sostenibilità, qualità ed etica.

Nel concreto, la loro attività consiste nel dare visibilità attraverso servizi di marketing, comunicazione e gestione digitale ad aziende certificate dal marchio europeo “Warfree – Liberu dae sa Gherra” e alle aziende che, pur essendo esterne all’Associazione Warfree, ne rispettano i valori fondanti. Aderire a Warfree vuol dire impegnarsi ad offrire «prodotti e servizi che rispettano un’etica civile e sostenibile», garantendo la qualità e rifiutando le guerre con scelte concrete. E la Cooperativa col suo lavoro riesce non solo a promuovere queste imprese, ma anche a metterle in rete.

Per conoscere meglio questa realtà abbiamo intervistato il presidente di Warfree Service, Stefano Scarpa. Ha 25 anni, è laureato in Scienze della Comunicazione e attualmente studia Scienze Politiche.

Come nasce la Cooperativa e la necessità di opporsi alle guerre mediante l’attività economica?
Nasce nella convinzione di poter cooperare mettendo insieme le proprie competenze e valori per offrire un servizio di comunicazione etica e sostenibile libero dalla guerra. La guerra è un’attività commerciale per cui per contrastarla devi farne un’altra. In questo senso, con Warfree vogliamo “fare concorrenza” all’economia della guerra.

È un’idea molto grande, non vi hanno dato dei matti nel fare la proposta alle aziende di adesione all’associazione?
No, molti la danno per scontata, perché non si conoscono i fatti. Quasi nessuno sa che esiste una fabbrica di bombe in Sardegna che guadagna oltre 100 milioni d’euro l’anno. Nessuno sa che la vendita di bombe e di armi è al terzo posto dell’export dell’isola. Da questo punto di vista noi abbiamo fatto un’analisi dettagliata. Con i dati ricavati siamo riusciti a far capire la situazione alle aziende che abbiamo visitato e molte hanno deciso di farne parte. Chi invece si è rifiutato non è stato tanto per l’ideale in sé ma perché ha considerato di non avere tempo o non ha capito il vantaggio di lavorare per la sostenibilità etico-ambientale insieme agli altri.

In cucina con Warfree, prodotti etici e locali. Foto: Warfree

Che tipo di imprese fanno parte della rete Warfree e quali intrecci ci sono tra di loro?
C’è una grande varietà: tra i quasi cento soci ci sono i produttori di olive e olio, arance, vino, pane, miele, liquori, formaggi vegani, ceramiche, un’azienda agricola di frutta e verdura, un agriturismo, musei, piantatori di alberi, bed&breakfast, un consulente, un architetto, un’azienda di comunicazione, una cooperativa sociale che fa delle attività per i carcerati, associazioni, ecc.

Si creano tante connessioni tra i soci dell’associazione, cercando di realizzare servizi o prodotti in collaborazione, convinti che questo permetta di ottenere dei risultati migliori. Comprare i prodotti degli associati sarebbe la cosa giusta da fare. Infatti, ci sono per esempio dei venditori che comprano i loro prodotti direttamente all’azienda agricola, la quale a sua volta mette a disposizione il terreno per la piantagione di alberi.

Come si dimostra l’avversione alla guerra in tutte le fasi del processo produttivo?
Dipende dal tipo di attività commerciale. Per quanto riguarda Warfree Service, noi facciamo una comunicazione etica, e insegniamo ai nostri clienti a non calpestare i concorrenti ma a trovare punti in comune. Possiamo dire quanto siamo bravi e belli, ma non di essere più bravi o belli degli altri. Poi abbiamo optato per una banca etica, in modo che sappiamo dove vanno a finire i nostri soldi.

Agire contro la guerra con degli atteggiamenti concreti significa fare determinate scelte non per una questione economica ma di principi, come ad esempio non collaborare con le industrie petrolifere, prime all’export in Sardegna. Oppure non vendere i propri prodotti nella mensa della fabbrica di bombe. In questo senso c’è un rapporto continuo con i soci dell’associazione, a cui conosciamo molto bene.

Evento organizzato in occasione del primo anniversario dell’Associazione Warfree. Foto: Warfree

Cosa significa Warfree in tempi di guerra come quelli odierni?
Le guerre ci sono sempre, i tempi di guerra di oggi sono come quelli di ieri. Ci sono centinaia di conflitti nel mondo in questo momento, alcuni dei quali vanno avanti da quasi un secolo, solo che nessuno ne parla. Warfree deve farsi sentire sempre, è importantissima adesso come prima. Il suo compito non è quello di dire se una posizione è giusta o sbagliata, ma deve essere imparziale: Warfree vuole la pace, e dire che si può vivere senza alimentare l’economia di guerra. La politica poi, per conto suo, fa la sua parte quando ha l’approvazione del popolo, per cui se questa ci sarà le cose potranno cambiare.

Laboratorio di ceramica promosso dall’Associazione Warfree. Foto: Warfree

Quale impatto ha sul territorio locale la produzione sostenibile promossa dall’associazione?
Sebbene sia nata solo tre anni fa, in tanti è già scattata la mentalità di comprare i prodotti Warfree piuttosto che acquistarli al supermercato. I venditori hanno trovato una comunità che li sostiene. Poi, nel momento in cui le aziende, che sono piccole, avranno una community ben consolidata dovranno aumentare la produzione, e di conseguenza servirà più forza lavoro. Per questo è importante la visibilità, che permette di incrementare le esportazioni e i posti di lavoro. In più, questo costituisce un’alternativa per contrastare l’inquinamento prodotto a tutti i livelli dall’industria bellica che sta distruggendo l’isola.

Che tipo di eventi o attività state sviluppando in questo periodo per contrastare le guerre?
Stiamo partecipando come co-organizzatori a marce ed incontri con altre associazioni. Warfree vuole partire dal piccolo per andare al grande, perciò questo periodo è fondamentale per la formazione: ogni settimana ci sono nella sede di Iglesias dei laboratori, workshop, seminari rivolti ai soci di Warfree, e a tutte le persone interessate ai valori di cui siamo portatori, su tematiche diverse, non solo sulla guerra ma anche sulla sostenibilità o il lavoro dignitoso. Abbiamo svolto, inoltre, dei seminari in ambito universitario in cui docenti e studenti hanno discusso sull’economia di guerra.

L’anno scorso abbiamo organizzato degli eventi musicali trattando il tema della sostenibilità e coinvolgendo giovani cantanti del Sud Sardegna per dare loro visibilità, tra questi anche un rapper italo africano che ha raccontato del suo arrivo in Sardegna; e il laboratorio “Chiamata alle Arti”, che ha aperto una riflessione sul ruolo dell’arte nel raggiungimento di un’economia di pace e rispettosa dell’ambiente.

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