Dove vuole arrivare Zuckerberg?
Nick Clegg, ex-politico inglese già vice di Cameron nel governo di sua maestà la regina d’Inghilterra, è passato armi e bagagli alla corte di Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook, Skype, Instagram, come responsabile dei Global Affairs and Communications. Zuckerberg è un uomo che, da solo, può influenzare le coscienze di più di due miliardi e mezzo di persone. Nelle ultime settimane la galassia Fb è in fibrillazione, e Clegg ne è al centro, perché cerca di far accreditare la società per la quale lavora come un’entità rispettabile a livello non solo imprenditoriale, il che ci sta, ma anche a livello politico internazionale, con proposte assai provocatorie. Forte della transnazionalità delle sue imprese, e quindi della possibilità di fare a meno dei singoli Paesi sia dal punto di vista normativo che fiscale, Fb tende ad assumere un ruolo di arbitro. Continuando però a far soldi.
Facebook ha ultimamente un andamento ondivago. Da una parte chiede l’aiuto dei governi dei singoli Paesi per evitare degli eccessi che ormai sono sotto gli occhi di tutti, in particolare per quanto riguarda il potere che la Rete ha acquisito di influenzare la vita pubblica dei singoli Paesi, finanche nelle urne, dimenticando però che lo scandalo di Cambridge Analytics – le centinaia di milioni di profili venduti a partiti politici per influenzare le elezioni in diversi Paesi europei e d’Oltreoceano – è stato provocato proprio da Fb e dalla sua scarsa dimensione etica. Dall’altra, però, Fb continua a proporre delle soluzioni al marasma da “mancanza di governance” della Rete che si fanno beffe degli Stati sovrani, come la recente proposta di una nuova “moneta” che dovrebbe, secondo certi analisti, far paura persino al dollaro.
Il 24 giugno, a Berlino, Nick Clegg ha avanzato un altro alfiere nella partita a scacchi del digitale, dichiarando: «Vogliamo creare un’entità indipendente, rispettosa delle diverse culture e continenti, che sia in grado di giudicare i conflitti sui contenuti che circolano sul web». “Oversight Board”, questo il nome provvisorio del “tribunale della Rete”, sarebbe una sorta di consiglio che avrebbe l’ardire di porsi come una “corte suprema” del web. Col piccolo dettaglio che sarebbe al soldo, evidentemente, di sire Zuckerberg. Come si può pretendere che un giocatore diventi arbitro in una partita così delicata come la soluzione dei problemi e dei confitti di ogni sorta che sorgono sul web? «È facile da descrivere ma molto difficile da mettere in pratica», ha comunque ammesso lo stesso Clegg, e per fortuna. Si tratterebbe, a quanto si mormora, di un comitato di una quarantina di membri (avvocati, esperti di informatica, professori di etica…) capace di dirimere i casi più controversi che sorgessero ogni giorno sulle piattaforme Facebook e Instagram.
Restano dubbi enormi da una parte sulla praticabilità di un tale organismo, ma dall’altra parte, e ancor più, sull’autorità che darebbe autorità, mi si scusi il gioco di parole, a tale “corte”. C’è di che rabbrividire. Una società privata che pretende di diventare arbitro delle diatribe del pianeta! Forse non ci si sta rendendo conto che stiamo preparando la strada a una dittatura soft tra le peggiori che si potrebbero immaginare. Più pericolosa, ritengo, di quelle che i leader politici un po’ autoritari di questo o quel Paese in mal di autoritarismo possono creare localmente. È la dittatura degli algoritmi. E il più potente proprietario di tali strumenti pretende di farsi paladino delle libertà del globo intero: ciò sarebbe molto, ma molto più grave di tante dittature locali, anche perché entrerebbe nelle coscienze della gente.
«Facebook ha ancora molti problemi da risolvere», dichiara la giurista statunitense Katie Klonick. È questa la speranza ormai di chi pensa ancora con la propria testa: che i problemi di Fb impediscano a Zuckerberg di imporre la propria dittatura soft sulle nostre coscienze.