Voto francese, gli effetti su scala europea

Il Rassemblement national di Marine Le Pen perde in Francia ma guadagna influenza tra le destre europe
Jean-Luc Melenchon La France Insoumise EPA/Guillaume Horcajuelo

Dopo la dissoluzione del Parlamento francese voluta al presidente Macron il 9 giugno scorso, in seguito alla schiacciante vittoria del partito di estrema destra Rassemblement National (Rn) alle elezioni europee, il secondo turno delle legislative francesi ha prodotto, a sorpresa, una maggioranza relativa per le sinistre (socialisti, verdi, comunisti e la Francia indomita / la France insoumise) unite in un cartello elettorale.

Il Nuovo fronte popolare, eterogeneo ma efficace, ha otenuto 182 seggi su 577, seguite dai centristi di Ensemble (168 deputati) e soltanto 143 eletti per l’estrema destra (Rn e alleati), che aveva dominato il primo turno. La conventio ad escludendum tra gli opponenti del Rn, grande vincitore del primo turno, e i désistements, nei triangolari, dei candidati che avevano meno possibilità di essere eletti, sembrano in apparenza aver funzionato.

In apparenza, perché l’inattesa débâcle dell’estrema destra, che si vedeva già al governo, ha creato una situazione inedita oltralpe, in cui nessuno partito né coalizione dispone di una maggioranza sufficiente per governare.

Sarà ora difficile per il presidente Macron nominare un primo ministro; certamente non Jean-Luc Melenchon, il leader della Francia indomita, il partito più votato della coalizione delle sinistre, ma figura troppo divisiva. Difficile sarà anche formare una coalizione di centro-sinistra, dopo che i centristi del presidente avevano fatto campagna elettorale, più che contro il Rn, contro le sinistre, accusate di antisemitismo per aver denunciato i crimini di guerra perpetrati a Gaza dal governo israeliano.

Nel sistema semipresidenziale francese il potere esecutivo è condiviso tra il presidente della repubblica e il governo, retto dal primo ministro: andiamo quindi verso una “coabitazione”, dato che il governo sarà in ogni caso espressione di una maggioranza diversa da quella che ha eletto il capo dello stato. In Italia molti pensano a un governo tecnico come soluzione all’impasse; tuttavia la Francia non ha una tradizione di tecnici al governo e considera il ruolo di primo ministro, non a torto, come eminentemente politico.

Due lezioni per l’Italia dalle elezioni francesi: in primo luogo, se si opta per una sistema elettorale maggioritario piuttosto che proporzionale, il doppio turno, se non garantisce necessariamente la governabilità come abbiamo appena visto, ha l’indubbio merito, di permettere, tra i due turni, ripensamenti – sia da parte di candidati che da parte degli elettori – che possono avere come esito quello di limare gli estremi: con un solo turno il Rn avrebbe avuto la maggioranza assoluta al parlamento francese. Non è escluso che la ottenga in futuro, sulla scorta di un malcontento popolare che cresce ogni giorno, non solo in Francia, ma per il momento questa prospettiva, percepita dalla maggioranza dei partner europei come una calamità, è stata evitata.

In secondo luogo, una lezione per le opposizioni: coalizzarsi, almeno in vista delle elezioni, serve; anche in fretta e furia, all’ultimo momento, come hanno fatto le sinistre francesi, senza aver neanche il tempo di discutere tra loro chi sarebbe stato il primo ministro in caso di vittoria. In ordine sparso, i vari partiti della coalizione del Nuovo fronte popolare sarebbero stati spazzati via al primo turno, e non avrebbero avuto alcuna utilità neanche per sbarrare, di concerto con i centristi del presidente Macron, la vittoria del Rn.

Se il Rn perde in casa, ottiene un maggior peso, ancorché relativo, in Europa: l’8 luglio ha infatti annunciato il suo ingresso nel nuovo gruppo di destra-destra al parlamento europeo (Pe), i Patrioti per l’Europa, sovranista ed euroscettico, lanciato il 30 giugno dal premier ungherese Viktor Orbán. Nel gruppo, in cui Rn sarà, con 30 deputati, la componente principale, confluiscono anche la Lega di Salvini, l’estrema destra spagnola di Vox e i nazionalisti olandesi, belgi, portoghesi cechi e austriaci.

I Patrioti saranno, con 84 seggi, la terza forza politica al Pe, scalzando dal podio i Conservatori e riformisti di Giorgia Meloni. L’ambizione dei Patrioti è, in primo luogo, di stoppare l’elezione di Ursula von der Leyen per un nuovo mandato alla presidenza della Commissione europea il 18 luglio e, in corso di legislatura, di orientare l’Unione europea (Ue) verso temi cari alle estreme destre: opporsi all’invasione dei migranti, farla finita con l’ambientalismo e tornare alla sovranità nazionale.

È tuttavia probabile che, come successo in Francia, in seno al Pe gli altri gruppi parlamentari tenteranno – e probabilmente riusciranno coalizzandosi in un “cordone sanitario” anti-destre estreme – a togliere potere ai Patrioti: la forza numerica del nuovo gruppo gli permetterebbe di ambire ad almeno un paio di presidenze di commissioni parlamentari e ad una vice-presidenza del Pe, ma nessuno darà loro i voti per ottenerle. Rn, come delegazione numericamente più forte, otterrà la presidenza del nuovo gruppo, che resterà tuttavia ai margini dei giochi politici che contano in seno al Pe.

Una novità è invece arrivata dai 5 stelle, i cui 8 deputati europei sono stati accolti dal gruppo della Sinistra al Parlamento Europeo, unico gruppo dichiaratamente pacifista al Pe. Nella scorsa legislatura gli eletti del 5 Stelle al Pe non erano riusciti a entrare in alcun gruppo parlamentare, il che li aveva condannati a una situazione di irrilevanza: nessuna presidenza o vicepresidenza di commissioni parlamentari, meno tempo di parola, nessuna posizione di relatori su dossier importanti. La Sinistra, pur guadagnando 9 seggi rispetto al 2019, rimane il più piccolo tra gli attuali gruppo parlamentari: una flebile voce per la pace, tuttavia, importante in un’Ue impegnata in un riarmo a tutto campo.

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