Il voto emblematico di Ostia
Il 5 novembre 2017 è una data importante per il futuro degli equilibri politici italiani. Gli occhi sono puntati sui risultati relativi dell’assemblea regionale siciliana, dove la possibile vittoria del centrodestra, in lotta con il M5S, ha ricompattato i leader di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Un’alleanza che possiede i numeri per conquistare al Nord e contendere al Sud molti dei collegi uninominali introdotti dalla nuova legge elettorale in vigore nella prossima competizione elettorale nazionale del marzo 2018.
Ma la prima domenica di novembre rappresenta un test significativo ed emblematico anche in un grande municipio romano con 250 mila abitanti e 180 mila potenziali elettori distribuiti tra le località di Ostia, Acilia, Castel Porziano, Castel Fusano, Infernetto, Malafede, e Palocco.
Uno dei problemi della Capitale risiede proprio nel mancato decentramento e piena autonomia di gestione di questi territori paragonabili, per dimensioni e/o residenti, ad alcune delle maggiori città italiane. L’area ostiense soffre della mancanza di rapporti con un “centro” percepito come lontano e assente. L’ampio litorale, conosciuto come il “mare dei romani”, ricco di beni storici e ambientali, è diventato, così, preda di clan malavitosi fino allo scioglimento per mafia del Municipio, a guida Pd, avvenuto nel 2015. Anche l’ultima sentenza del Tribunale di Roma di inizio ottobre 2017, ha confermato l’aggravante del metodo mafioso per i reati commessi dagli aderenti ad una di queste organizzazioni (il clan Spada) che prendono il nome delle famiglie di riferimento.
Sembra inverosimile eppure è anche questo il volto della Capitale dove il M5S ha mietuto fortissimi consensi nelle ultime elezioni comunali anche se, dopo le vicissitudini della giunta Raggi, non sembra affatto scontata la vittoria di Giuliana Di Pillo, candidata pentastellata alla presidenza del decimo municipio romano. Fino all’ultimo momento il Pd ha avuto seri problemi a trovare un esponente disposto a mettersi in gioco, fino alla scelta dell’ex senatore verde Athos De Luca. I sondaggi lo mettono dietro alla candidata del centrodestra unito Monica Picca che arriva da Fratelli d’Italia. Casa Pound, forte di un certo radicamento sociale che la accredita di un 10% dei voti, corre da sola con il proprio candidato Luca Marsella, potenzialmente decisivo in caso di ballottaggio.
Un caso a parte è rappresentato da Franco De Donno, presente sul territorio da oltre 30 anni come prete impegnato nell’insegnamento nelle scuole superiori e nel campo sociale. La scelta di candidarsi a presidente con una lista autonoma, chiedendo la sospensione dell’esercizio delle funzioni sacerdotali, è stata giustificata come un caso di forza maggiore davanti alla crisi del contesto sociale e politico del Municipio. Lo supportano realtà associative locali, alcuni dissidenti del Pd e formazioni della sinistra, anche se una lista definita di Sinistra unita, candida come presidente Eugenio Bellomo. Anche il Popolo della Famiglia, parte del movimento che ha promosso l’ultimo Family day, ha il suo candidato in Giovanni Fiori. L’area centrista propone, infine, Andrea Bozzi, mentre un’altra lista civica ha come candidato Marco Lombardi.
Oltre le percentuali previste dai sondaggi, che potrebbero essere sovvertite dai numeri che emergeranno dallo spoglio dei voti, preoccupa l’astensionismo che è sempre difficile interpretare.
Sicuramente le contraddizioni che emergono dal territorio, come la privatizzazione di fatto degli stabilimenti balneari e la urbanizzazione dettata dagli interessi immobiliari, sono funzionali, come afferma in generale l’urbanista Carlo Cellamare in “Fuori raccordo. Abitare l’altra Roma”, «ad un certo modello di sviluppo insediativo ma anche socio-economico». I risultati di marginalità, esclusione e disimpegno sono sotto gli occhi di tutti e costituiscono l’ambiente migliore per la crescita delle mafie, anche se, proprio negli ambienti più difficili, si nota una «presenza di forze sociali che esprime uno sforzo di riappropriazione della città e dei luoghi di vita».
Secondo Cellamare, non si tratta, perciò, di proporre micro palliativi ma di «esprimere un’alternativa al modello di sviluppo dominante. Un obiettivo su cui, aldilà delle volontà politiche, le stesse amministrazioni pubbliche locali avrebbero difficoltà ad impegnarsi, private come sono di una capacità di azione al confronto delle forze economiche che attraversano i territori, tanto che si può dire che stanno perdendo anche (parte della) la sovranità sui propri contesti governati».
Ostia, come altri territori di frontiera, rappresentano, quindi, il livello più alto dove si gioca la sfida per il recupero di una sovranità perduta.