Il voto del 25 settembre dopo la rottura tra Pd e Azione
A 47 giorni dal voto del 25 settembre non è ancora chiaro il panorama delle forze politiche che scenderanno in campo nelle elezioni politiche nazionali.
L’accordo tra Pd e Azione/+Europa è saltato dopo pochi giorni per la difficoltà di tenere assieme un fronte che partiva da Calenda per arrivare a Sinistra italiana. Non ha retto la distinzione formale tra un programma di governo siglato da Letta con i partiti liberal radicali e un accordo elettorale con i rossoverdi di Fratoianni e Bonelli, anche perché il testo che è stato reso pubblico, con tanto di foto opportunity, è pieno di contenuti e rimandi tematici che sono in contrasto ad esempio con il programma comune di Azione e +Europa su alcuni temi ambientali a partire dal giudizio sul nucleare civile come fonte di energia sostenibile.
C’è da dire che, ad esempio, sulla questione dell’energia nucleare esiste una diversità di opinioni anche tra la Lega, nettamente favorevole, e settori importanti di Fratelli d’Italia. Nell’intervista concessa a Città Nuova, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, FdI, si è dichiarato contrario al ritorno del nucleare mentre Matteo Salvini si dimostra così convinto di tale scelta da auspicare la costruzione di una grande centrale nucleare “sotto casa”, cioè a Milano.
Il centro destra sembra aver capito la sostanza della legge elettorale in vigore. Il Rosatellum premia la compattezza delle coalizioni nella decisiva sfida dei collegi uninominali che è destinata ad incidere e determinare anche la quota del voto proporzionale.
Non esiste, invece, una ragione tale da unire pragmaticamente i vari pezzi di un fronte “repubblicano” in grado di sbarrare il passo alla vittoria annunciata di una coalizione dove è prevalente la componente di destra guidata da Giorgia Meloni.
Secondo le previsioni di Roberto D’Alimonte, direttore del centro studi elettorali dell’università di Confindustria, era già minoritaria (35% contro il 45% del centrodestra) l’area di consenso di una coalizione in grado di andare da Azione ai rossoverdi con la conseguenza di arrivare «a far conquistare alla coalizione della Meloni tra il 70 e 80% dei seggi elettorali».
Se i numeri sono destinati a restare tali, non sembra esserci partita con una coalizione che fa perno sul Pd e una serie di partiti minori che hanno una linea comune solo sulla questione dei cosiddetti diritti civili ma si dividono sui temi economici e ambientali. Di sicuro andranno ridiscusse le percentuali delle candidature definite nell’accordo saltato con Calenda. Quale spazio sarà riconosciuto alla Bonino e alla sigla di Tabacci – Di Maio?
Più in generale resta da definire il programma politico economico di tale coalizione che nell’accordo con Calenda, come aveva annunciato Benedetto Della Vedova di +Europa, era stato affidato in buona parte a Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani promosso dall’università Cattolica di Milano.
La frammentazione ulteriore dei partiti estranei al blocco di centro destra ha un forte effetto in termini di seggi del futuro Parlamento come mette in evidenza lo studio aggiornato dell’Istituto Cattaneo di Bologna.
Prevedendo un accordo tra Azione e Italia Viva, che in tal modo rientra in partita, si avrebbe una composizione del genere alla Camera: 245 deputati al centro destra, 107 al centro sinistra, 27 al M5S, 16 a Calenda Renzi, 3 alla Südtiroler Volkspartei e 2 a indefiniti “altri” della sezione estero. I seggi uninominali verrebbero spartiti unicamente tra i 122 del centro destra e i 23 del centro sinistra, più 2 al partito tirolese della Svp.
Al Senato 63 collegi uninominali andrebbero al centro destra contro 9 al centrosinistra per un totale complessivo così definito, contando la parte proporzionale e i collegi esteri: 127 (CD), 51(CS),12(M5S), 7(Azione/IV), 2 (SVP), 1(Altri).
Secondo il sondaggista di You Trend, Lorenzo Pregliasco, il blocco intorno a Calenda e Italia Viva, che teoricamente potrebbe attrarre consensi dai 2 schieramenti maggiori, si manterrebbe tra il 3 e il 5%, con effetto a cascata nel numero dei seggi.
Numeri che parlano da soli anche se l’Istituto Cattaneo ritiene molto improbabile una oscillazione tale da far raggiungere alla coalizione di centro destra i 2/3 dei seggi in entrambe le Camere (soglia necessaria per procedere a cambiamenti della Costituzione senza referendum confermativo, ndr).
Sullo sfondo resta il rischio della crescita dell’astensionismo che, secondo le analisi dell’Istituto Tecnè Italia citato da Eugenio Mazzarella su Avvenire, riguarda soprattutto i «ceti più disagiati, sempre più convinti che la politica non li rappresenti e, quindi, dell’inutilità della partecipazione elettorale». Il sondaggio dice che «nelle ultime elezioni amministrative solo il 28% degli elettori a basso reddito è andato al seggio» contro il 79% dei ceti benestanti.
Ne dovrebbe derivare che, per poter ribaltare le previsioni dei sondaggi, si dovrebbero investire molte energie nel convincere le fasce più deboli economicamente a recarsi alle urne per votare programmi comprensibili e soprattutto credibili. Ma è una deduzione che è difficile mettere in pratica così come ipotizzare nuove coalizioni dopo la rottura tra Pd e 5 Stelle.
Se, comunque, come sembra, una parte significativa degli elettori compirà la scelta definitiva a settembre, nell’ultima settimana prima dell’apertura delle urne, molto si giocherà sulla qualità dei contenuti e sulla credibilità dei candidati che i vertici dei partiti stanno scegliendo in questi giorni assolati e convulsi di agosto.
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