Votare no al referendum per difendere la Costituzione
Dopo il voto delle comunali, come prevedibile, si è aperto lo spazio per i cambiamenti della legge elettorale della Camera (Italicum) invocata anche all’interno dello stesso Pd. L’ex premier Enrico Letta ha definito il sistema simil-presidenziale previsto come «un profondo errore». Ma il tema di fondo resta quello delle modifiche alla Costituzione.
Da tempo, fin dal gennaio 2015, c’è chi – come l’associazione dei Comitati Dossetti – ha chiesto di optare per «un rinvio delle riforme costituzionali alla prossima legislatura, nella quale su punti specifici relativi al funzionamento dell’ordinamento vigente potranno essere introdotti opportuni emendamenti costituzionali». Ora il pericolo secondo i Comitati, che vedono insieme giuristi ed esperti, è quello di arrivare ad una spaccatura del Paese fomentando «il discredito della Costituzione, ridotta a trofeo della lotta per il potere».
Sulle questioni aperte dal referendum costituzionale del prossimo ottobre, Città Nuova sta cercando di promuovere un dibattito serio ed esigente tra posizioni divergenti, per entrare nel merito e comprendere l’importanza della scelta che gli elettori saranno chiamati a compiere. Intervistiamo, quindi, Raniero La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione e della rete dei cattolici per il no al referendum. La Valle è stato direttore de il Popolo e poi dell’Avvenire d’Italia al tempo del Concilio, deputato della Sinistra indipendente, appartiene ad una generazione del cattolicesimo democratico che “non ha mai smesso di cercare” e di esporsi personalmente con lucidità di analisi nel sostenere le proprie idee.
Nel Paese c'è una grande spaccatura, testimoniata anche dai diversi commenti agli articoli che abbiamo pubblicato sul nostro quotidiano web…
«Sì, il Paese è caduto in una grave crisi; tutti noi avvertiamo l’inquietudine che turba la società civile; la gente soffre, ha perso i punti di riferimento, si sente precaria, in balia di poteri e di forze che non può controllare. Ed ecco che proprio su questo smarrimento piomba a freddo, per un calcolo di una parte della classe politica, la lacerazione del referendum per cambiare la Costituzione. Il Paese viene frantumato tra il sì e il no alla Costituzione e così ci viene tolta anche la cosa che ritenevamo sicura».
Lei è presidente dei Comitati intitolati a Giuseppe Dossetti, il costituente cattolico espressione di una cultura complessa, sconosciuta a molti, ma interpretata in maniera diversa anche dai suoi estimatori. Su Cittanuova.it, ad esempio, abbiamo ospitato la posizione per il sì di Massimo Toschi, che ha firmato l’appello dei 150 a sostegno della riforma, assieme ad Alberto Melloni, altro celebre “dossettiano”. Non tutto sembra così chiaro. In cosa vi distinguete?
«Non esistono dossettiani. Dossetti era una personalità assolutamente originale, anche i suoi amici più cari sono stati di volta a volta dossettiani e antidossettiani. Certamente Dossetti non era un conservatore costituzionale, e soprattutto alla fine della sua vita, proprio per dare valore alla sua ferma opposizione alla devastante riforma berlusconiana, ha più volte detto in quali modi, invece, si sarebbe potuto far avanzare la Costituzione, facendo tesoro dell’esperienza positiva già fatta; e tra le cose che si sarebbero potute fare – nel fermo rifiuto però del presidenzialismo e della personalizzazione del potere – c’era anche la rimessa in causa del bicameralismo. Ma questo non ha niente a che vedere con l’attuale riforma renziana, nei cui confronti Dossetti non avrebbe avuto un atteggiamento diverso da quello enunciato nei confronti della riforma dell’altra destra. Nel 1996 in una lettera a un’assemblea popolare sulla Costituzione a Bologna scrisse: “Credo che fare ruotare per settimane intere tutta una crisi di governo intorno a problemi istituzionali, sia pure urgenti, come si dice, equivalga a una contorsione violenta dell’urgente più urgente,e cioè della soluzione politica di problemi attualissimi e preliminari, come l’avvio più deciso del risanamento delle finanze pubbliche, la crescente emergenza occupazionale soprattutto giovanile, la soluzione di certi nodi del tutto vitali del meridione, le regole per una disciplina antitrust, e per una informazione pubblica oggettiva e paritaria”. Un'urgenza che allora veniva ignorata, come lo è oggi».
Quello è stato uno degli ultimi interventi di Dossetti dopo un lungo silenzio…
«Bisogna anche notare, però, che in quegli anni Dossetti è sempre più concentrato su ciò che a suo parere conta di più, il rapporto con Dio, la prospettiva escatologica, e in questa luce osserva la crisi della realtà storica, che senza la grazia gli appare insuperabile. In una riunione con la sua comunità monastica, a Monteveglio, il 5 maggio 1993, descrive con radicale severità la crisi italiana, per la quale occorrerebbe “uno sforzo ricostruttivo assai più grande di quello fatto, necessariamente, dopo il crollo del fascismo”, ma non ne vede i più lontani presupposti. Giudica che la tendenza prevalente di “invertire le tre grandi novità rappresentate dalla Costituzione”: l’espansione dei diritti, il valore della mediazione che vada al di là dei puri interessi immediati delle singole parti, il ruolo delle assemblee parlamentari che sono “l’organo fondamentale di ogni mediazione veramente democratica”, e predice che, “se si applica il sistema maggioritario, si arriva inevitabilmente a un governo di notabili”. Ma soprattutto dice che bisogna pregare, in vista della fine della storia, mentre la “crisi globale nella quale siamo immersi non può guarirsi in pochi anni o con qualche trovata di qualche sistema elettorale: può guarirsi con un grande sforzo collettivo di rieducazione e di riattivazione di tutto il tessuto sociale, prima che dell’esperienza politica”. Altro che le riforme di Renzi!».
(Nel pdf allegato l'intervista integrale)
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