A volte basta poco per stabilire rapporti di fraternità
Mio padre è abbonato a varie riviste, la maggior parte delle quali molto interessanti. Gli articoli, seppur brevi, sono ben approfonditi, esplicativi, rispettosi e spesso arricchiti da testimonianze di vita. Quando papà finisce un numero di una rivista lo prendo io, se ho tempo di leggerlo, o lo passo ad altre tre persone che ho conosciuto strada facendo. Queste tre persone hanno un comune denominatore: sono pensionate e con una rendita tale da non potersi permettere un abbonamento, tanto da alimentare la propria lettura solo attraverso la pubblicità.
Una è Adele, che ha una storia molto particolare. La conosco perché lasciò un biglietto all’entrata del palazzo in cui chiedeva un aiuto per risolvere un problema al suo cellulare. Mi sono proposta io. In seguito sono tornata a salutarla per conoscerla meglio e lei, trovando in me una persona di fiducia, mi ha raccontato tutta la sua storia. Coglievo in lei un cuore di bambina ferito, amareggiato e sempre alla ricerca di un’innocenza rubata, di una felicità pura. La sua unica compagnia: le visite degli assistenti sociali, dell’ergoterapista, del fisioterapista, della governante e di una vecchia collega della classe operaia, musulmana… Di tanto in tanto le visite dei figli, ma raramente. Vittima di abusi da parte del padre da quando era ancora bambina, ha dovuto seguirlo in Svizzera per occuparsi di lui quando lavorava nei cantieri. Non ha potuto scegliersi un marito che ha sopportato per 35 anni. Un uomo violento che la maltrattava in preda a crisi d’alcolismo. Ha continuato a pregare per lui fino a quando è morto. Dice: «Solo la fedeltà mi resta nei periodi di depressione. Ma, da quando leggo le vostre riviste, mi sento molto diversa. È come se nutrissero il mio essere».
Nello stesso edificio ho notato un’altra signora anziana che veniva a prendere gli annunci nella mia buca delle lettere: per leggere un po’. Poi mi parla della vicina di pianerottolo. «Da 31 anni viviamo una accanto all’altra senza parlarci. Non so perché. Eppure non abbiamo avuto problemi fra noi. Molto semplicemente, ci salutiamo e ognuna torna a casa sua». Trentuno anni! Che shock per me. Faccio fatica a crederci. Durante una delle mie visite le suggerisco, una volta letta, di passare la rivista che le lascio a questa vicina. «Perché?» mi ha chiesto. «Perché riesce a trovare cose buone da leggere». «Non so se ho il coraggio di farlo. Per 31 anni abbiamo vissuto vicine senza parlarci». Ci lasciamo. Dopo le vacanze estive, torno a trovarla. I nostri scambi stanno diventando sempre più essenziali, profondi. Le propongo di leggere insieme la Parola del Vangelo che sto cercando di vivere questo mese. Stavamo leggendo: «La carità richiede pazienza. Meglio perdere le proprie idee che mancare di carità». Nel bel mezzo della lettura, di colpo, una telefonata: Adele prende il telefono, è la sua vicina. Lei risponde: «Ti richiamo dopo», e mi spiega che da quando le ha passato le mie riviste la vicina è andata a ringraziarla e hanno preso un caffè insieme. «È simpatica, gentile. Davvero non so perché non ci siamo conosciute per 31 anni! Ora beviamo il caffè di tanto in tanto insieme. È un dono reciproco!».
Eugenia C.
__