Volevo fare la Rockstar
In fondo è un family drama, anche se la famiglia in questione è mezza scassata e il dramma è più che altro una commedia. Anche se la vicenda non è perfettamente corale, visto che al centro della provincia friulana di confine in cui è ambientata questa serie si muove principalmente la protagonista Olivia: una bravissima Valentina Bellè, spontanea e vitale nei panni di una ragazza di 27 anni con due figlie gemelle di 11, eterozigote, buffe e sveglie. Avrebbe voluto fare la rockstar, Olivia, come dice il titolo, ma i progetti per lei sono stati altri, e allora, da ragazza in gamba qual, è si è rimboccata le maniche e ha tirato su da sola le “brulle”: così chiama lei le sue due stupende bimbe, che adesso sono grandicelle con una mamma ancora giovane e bella, con tanto futuro davanti e un bel po’ di rinunce alle spalle.
Ecco il conflitto interno al personaggio: occuparsi solo delle figlie o tentare nuovamente l’amore? È questo il motore di una serie fondamentalmente luminosa, cui aggiungono cavalli gli amici e i parenti di lei: una madre con problemi di alcool e non solo, letteralmente sparita dopo la morte del marito, e un fratello adolescente a carico di Olivia, omosessuale non dichiarato. Almeno inizialmente. A completare il coro ci sono Daniela, amica di Olivia, mangiatrice di uomini ma incapace di innamorarsi, e Francesco (Giuseppe Battiston), giunto con sua figlia da Milano per prendere in gestione un supermercato nella zona, e da subito finito nella confusione dinamica e vivace della strampalata combriccola.
Diverse generazioni si muovono in Volevo fare la Rockstar, che fa della leggerezza la sua chiave espressiva e della colloquialità chiassosa un suo punto di forza. I conflitti raramente si inaspriscono, si sciolgono al contrario nella brillantezza dei dialoghi e in una vitalità generale interna ai personaggi. Non mancano i temi delicati e attuali: si parla di bullismo, di disturbi alimentari, di sessualità, di crisi economica e nel complesso si avverte il clima di disordine in cui viviamo. Ci sono però qua e là concetti costruttivi e qualche riflessione utile. Dice per esempio a un certo punto Olivia, nel pieno della sua crisi esistenziale, nel suo dubbioso processo di ricerca identitaria: «Non voglio perdermi nessuno dei regali che la vita mi fa tutti i giorni». Una vita affannata, la sua, certo, ma in fondo, come quella di molte persone resa meravigliosa da tanti doni che a volte ci dimentichiamo di guardare. Ecco, Olivia sa benedire l’abbondanza in mezzo al suo mucchietto di guai, anche se non mancano momenti di stanchezza e di sconforto; è sostanzialmente cosciente, dice lei stessa, che «la vita a volte fa per noi», che le cose accadono non come le immaginiamo noi, e questa è un’altra preziosa consapevolezza.
E anche i personaggi di contorno, persino quelli apparentemente meno positivi – vedi la madre di Olivia –, sanno offrire alla lunga una certa umanità e persino versare un po’ di saggezza nella giara dei messaggi positivi di Volevo fare la Rockstar: la stessa madre di Olivia, in una serie che un pochino si diverte a giocare con gli stereotipi, a rovesciarli, sa dire una frase come questa: «Se nessuno ti insegna ad amare, è difficile imparare». È una frase fugace, caduta là in mezzo ai suoi racconti dei suoi viaggi in Nepal, ma è una frase importante, perché l’amore salva chi lo dà e chi lo riceve, e metterlo in circolo rimane il dovere primo. Del suo contrario, di tutte le volte che lo sospendiamo e delle conseguenze del nostro metterlo in pausa, parla ancora Olivia, intorno alla metà di questa fiction di 6 puntate totali (su RaiDue) che termina mercoledì 4 dicembre.
La protagonista parla delle ferite che possiamo procurare agli altri, anche solo per debolezza o superficialità, dei colpi che questi possono ricevere da piccoli, e che da allora se ne vanno in giro dentro la persona per una vita intera. E rimangono lì, e bene che vada diventano cicatrici, promemoria costanti di dolore, capaci di bloccare la vita. L’amore, invece, fa il contrario, e quello vero, quello più grande, lo cita un sacerdote nella serie. Sì, un prete, che non è una comparsa, ma un caro amico di Olivia dai tempi dell’adolescenza, da quando suonavano insieme in un gruppo rock. Egli cita san Paolo con un frammento della prima lettera ai Corinzi: «L’amore gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa». Poi stempera tanta grandezza citando una canzone, ma quelle parole rimangono, così come altre pillole qua e là soffiate da questi personaggi più strampalati che veramente drammatici, incastonati in un paesaggio di provincia ben fotografato e attivo. Una periferia bizzarra e verace, una coralità asimmetrica raggruppata con bravura dal goriziano Matteo Oleotto, un regista che di quei luoghi se ne intende.