Voglio che abbiate paura!
«Voglio che abbiate paura!», gridò Greta Thunberg, la ragazza svedese diventata icona della lotta contro il cambiamento climatico. Dalla tribuna delle Nazione Unite, non voleva convincere o persuadere, bensì impaurire una società che sta distruggendo il proprio pianeta. Secondo lei, spaventare gli irresponsabili e i potenti è ormai l’unica leva efficace capace di portare cambiamenti profondi.
Ma Greta non è l’unica a invocare il panico.
La retorica della paura è diventata molto abituale nella società attuale. Anzi, la vulnerabilità sembra essere diventata la caratteristica principale dell’essere umano. In certe occasioni e di fronte a pericoli reali e visibili – il coronavirus, ad esempio – è positivo provare responsabilità sociale e agire di conseguenza. Ma questa epidemia è arrivata in un momento storico già dominato dalla cultura della paura (The culture of fear).
Lasciando da parte il Covid-19, il mondo sembra essere diventato un luogo molto pericoloso, o almeno pieno di presunte minacce: gli oceani invaderanno la terraferma, l’Intelligenza artificiale e i migranti ci toglieranno i posti di lavoro, il Sole è un grave rischio per la pelle, stare seduti a lungo è nocivo per il cuore e perfino i succhi di frutta zuccherati sono una minaccia per la nostra salute. Meglio aggrapparsi a quello che si ha e, se possibile, restare a casa (non sempre seduti, però).
L’allerta di fronte a nuovi rischi riempie spesso la narrativa dei mezzi di comunicazione, che dipingono un presente incerto e fragile con espressioni ogni volta più ricorrenti: settore a rischio, fascia di età vulnerabile, spazi sicuri, comportamenti irresponsabili, emissioni controllate, eccetera. Purtroppo, generare panico sociale è diventata la maniera più veloce per difendere perfino le buone cause e costruire la solidarietà sociale, facendo dimenticare altri motivi più fragili, come il rispetto che meritano gli altri, i propri valori o le leggi divine. Ulrich Beck, filosofo tedesco, ha segnalato: «In un’epoca dove la fiducia in Dio, nelle autorità, nelle nazioni e nel progresso è scomparsa, la paura sembra essere l’ultima risorsa per creare vincoli».
Ma la paura paralizza, mentre che la speranza incoraggia. Spesso dimentichiamo che la virtù della prudenza invita più ad agire che a non farlo. Ora, i mezzi di comunicazione e i consigli di alcune autorità sembrano suggerirci che è meglio sopravvivere che prendersi le responsabilità per affrontare difficoltà e limiti. Si racconta della mamma di un pilota di aereo, che volendo invitare suo figlio a essere prudente, diceva: «Fa’ attenzione: vola basso e piano…». Non capiva che, in certe occasioni, rischiare è l’opzione più sicura.
Bisogna senz’altro essere prudenti – la mascherina sul naso, per esempio –, ma attenzione a lasciarsi sopraffare e paralizzare dalla cultura della paura, che può diventare un atteggiamento normale. Purtroppo, rischiamo di sviluppare – in particolare tra i più giovani – un’avversione all’impegno, uccidendo, in nome della prudenza, quella sana spensieratezza e speranza con cui bisogna far fronte al futuro incerto.
Juan Narbona è giornalista e docente di Comunicazione digitale alla Pontificia Università della Santa Croce