Vogliamo una Chiesa che ci guidi e ci ami
Dal 10 al 13 novembre a Roma si è tenuto il convegno nazionale di Pastorale giovanile. Una realtà sempre più viva all'interno della Chiesa, che vuole impegnarsi ed essere valorizzata
«La Chiesa deve essere madre per noi giovani, deve prendersi cura della nostra crescita e guidarci amorevolmente, non con il dito puntato ma con paziente fermezza».Alessandra, 26 anni, di Bari – Bitonto è una degli oltre 600 partecipanti al convegno nazionale di Pastorale giovanile svoltosi da giovedì 10 a domenica 13 novembre al centro “Domus Pacis” di Roma, trasformatosi per questi giorni in vero e proprio “laboratorio di speranza” da cui ripartire per accompagnare i giovani a costruire insieme la “vita buona del Vangelo”.
Siamo infatti ai primi passi di un decennio che i vescovi italiani hanno dedicato alla riflessione sulla cosiddetta “emergenza educativa”, tema quanto mai scottante e attuale per la realtà giovanile di oggi, spesso disorientata e senza punti di riferimento.
«La novità del 2012 sarà essenzialmente la tematica del racconto di quanto abbiamo vissuto nella Gmg di Madrid e la riproposta di una Chiesa che dovrebbe sempre più prendere sul serio la presenza dei giovani al proprio interno dando loro fiducia, perché essi sono la forza e l’energia che lo Spirito Santo dona alla Chiesa stessa e alla società».Don Nicolò Anselmi, direttore nazionale della pastorale giovanile, è giovane tra i giovani: tratto essenziale della sua opera pastorale è puntare all’incontro e al rapporto personale con ogni giovane che sfiora il suo cammino. È questo, in fondo, quello che le nuove generazioni chiedono al mondo adulto di oggi.
Don Cesare Pagazzi, noto docente di cristologia, esprime bene questo concetto in un passaggio del suo applauditissimo intervento: «Amare significa rendere a ciascuno il proprio onore. Dunque una comunità che ama i giovani prima di tutto li apprezza e li stima, e chi sa di essere stimato a sua volta stima e non ha paura».
A Roma incontriamo un mondo che non vuole mettersi in luce solo per i segni di disagio che manifesta, ma soprattutto per le tante potenzialità e positività che esprime. «Siamo qui per scambiarci opinioni, idee e nuovi punti di vista con chi, come noi, ha a che fare con i giovani – ci dice Elisa, 20 anni di Acqui Terme –. Il nostro compito è portare certamente Gesù agli altri, ma è importante prima tessere una rete di rapporti personali perché c’è tanta diffidenza oggi verso chi, come noi, cerca di lasciare a tutti un messaggio di speranza: quello di Cristo risorto».
I giovani sono una realtà che chiede di essere accompagnata ma non giudicata, pronta a dare il meglio di sé soprattutto a chi ha il coraggio di non fermarsi alle apparenze ma sa andare nella profondità del loro cuore, talvolta già troppo ferito. «Bisogna far sapere ad un ragazzo quanto vale veramente e poi fargli capire chi gli ha donato queste qualità. In questi giorni poi è stato bello vedere anche dei vescovi a pranzo con noi: ci hanno fatto sentire vicini ad una Chiesa che non impone dall’alto ma che vive tra la gente!», ci racconta Marco, 23 anni di Manduria (Taranto).
Uno di questi vescovi ha il nome e il volto di mons. Lucio Lemmo, ausiliare di Napoli e da poco anche delegato regionale per la Pastorale giovanile della Campania: «Mi trovo qui in qualità di delegato regionale di pastorale giovanile, quindi per me è stato davvero un tuffarmi in questa realtà molto bella e anche entusiasmante già a partire dal titolo: costruire insieme la vita buona del Vangelo. Crescere insieme sono secondo me le vere parole vincenti soprattutto nel campo giovanile, e questo convegno l’ha confermato sia nelle tematiche che nelle esperienze che ci sono state proposte». Con la speranza nel cuore si riparte dunque per costruire ora nella “vita buona” di ogni giorno.