Voglia di legalità. Nonostante tutto

L'anniversario dell'omicidio di Giovanni Falcone arriva in un momento difficile per la magistratura italiana e per chi la rappresenta. Ma la Sicilia, anche davanti a un sistema di corruttele e di interessi milionari che sembra rafforzarsi, non abbassa la testa. Come ha apostrofato Mattarella, le figure di Falcone e Borsellino hanno provocato «volontà di giustizia e di legalità»
Foto LaPresse/ Claudio Furlan

Sono trascorsi 28 anni dalla morte di Giovanni Falcone e l’isola vive uno dei suoi momenti più difficili. Le inchieste recenti hanno alzato il velo su un sistema di corruttele. Ultima in ordine di tempo, l’inchiesta della Guardia di Finanza che ha messo a nudo un sistema di maxitangenti sugli appalti e le forniture della sanità. Un dirigente della sanità, il manager che guida la task force sull’emergenza Covid-19, sono stati arrestati insieme ad altre persone. Un deputato regionale è tra gli indagati.

In piena emergenza Covid, la relazione della commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, che rivela nuovi tasselli di una verità scomoda: lo scioglimento di alcuni Comuni in Sicilia era stato “forzato”. L’accusa di infiltrazioni mafiose, artatamente costruita, era diventato uno strumento facile per eliminare amministratori che avevano cercato di ostacolare gli affari della mafia nella gestione dei rifiuti. Una mafia che, per poter meglio operare, aveva vestito i panni dell’antimafia. Nulla di più facile, di più comodo, per imperversare: in nome dell’antimafia si potevano colpire i Comuni virtuosi.

E poi gli interessi sull’eolico, che ruotano attorno alla figura di Vito Nicastri, considerato il re dell’eolico in Sicilia e fiancheggiatore di Matteo Messina Denaro. L’inchiesta che lo ha riguardato è costata la poltrona al sottosegretario leghista Armando Siri, nel primo governo Conte, quello a timbro gialloverde.

Sono solo alcuni dati che emergono dalle inchieste recenti. E fanno intravvedere una Sicilia che, anche se i morti ammazzati non ci sono più, è purtroppo ancora vittima del sistema mafioso.

Ricordare Giovanni Falcone e farlo in un anno certamente difficile ed emblematico per la Sicilia: perché la voglia di legalità permane, ma oggi sembra segnare il passo, talvolta quasi arrestarsi dinanzi all’ineluttabile, di un sistema di corruttele che sopravvive. Che si rafforza. Mentre i cortei continuano per le strade, mentre le manifestazioni di Libera seguitano a ricordare i nomi, i mille nomi delle vittime della mafia, essa trova nuovi sistemi per imporre la sua legge. Si infiltra, in modo perverso nelle istituzioni, riesce a condizionare le scelte, piega le decisioni dei governi ai propri interessi. E sono interessi milionari.

Non era molto dissimile negli anni ’80 e ’90, gli anni di piombo, quelli del “sacco di Palermo”, della guerra di mafia, dell’uccisione di magistrati, poliziotti, giornalisti.

La mafia cambia pelle. Giovanni Falcone, oggi, potrebbe parlare di tutto questo. Anche davanti alla torta di fragole che la madre prima e la sorella Maria poi, erano soliti preparare per il suo compleanno. Un compleanno caduto a ridosso di quella che fu la data della sua morte, il 23 maggio 1992. Perché la mafia vive di affari e collusioni con le istituzioni, oggi come ieri. Ma non uccide più e, probabilmente, fa affari ben più lucrosi. Si è trasformata, la mafia dei colletti bianchi. E si nutre di colleganze le più varie, della messa in campo di mille verità, di notizie dette e non dette, inventate e smentite, di fake news destinate a creare un calderone che rende più difficile l’individuazione della verità.

Giovanni Falcone aveva 58 anni. Era stato l’uomo di punta, insieme a Paolo Borsellino, del pool antimafia coordinato da Antonino Caponnetto. Era stato anche sacrificato quando aveva presentato la sua candidatura come capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Il Csm gli preferì Antonino Meli, per anzianità. Meli smembrò il pool e le indagini di mafia vennero divise in mille rivoli, disgregando il lavoro dei magistrati e rendendo tutto più difficile.

Falcone fu osteggiato da molti, ostacolato persino da suoi colleghi della corrente di Magistratura Democratica. Venne contestato perché troppo protagonista. Anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando presentò un esposto contro di lui. Non era un personaggio facile. Venne isolato, delegittimato. Voleva diventare capo della Direzione nazionale antimafia, che lui stesso collaborò ad avviare. Accettò, infine, dal guardasigilli Claudio Martelli l’incarico di direttore degli Affari penali. Per questo viaggiava spesso su quel volo Punta Raisi – Fiumicino. E dopo uno dei suoi tanti viaggi di ritorno a Palermo, il tritolo posto sotto i piloni dell’autostrada, all’altezza di Capaci, esplose e uccise 5 persone. Tra questi Falcone.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede esce dal Senato
Foto Roberto Monaldo / LaPresse. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede esce dal Senato

Quest’anniversario arriva in un momento difficile per la magistratura italiana e per chi la rappresenta. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, è stato duramente contestato per le 256 scarcerazioni di boss detenuti al 41 bis. Si è difeso e la sfiducia contro di lui in Parlamento è stata bocciata. Intanto, il suo capo di gabinetto è stato costretto alle dimissioni: è stato intercettato in una telefonata con Luca Palamara, il presidente dell’Associazione nazionale Magistrati finito sotto inchiesta a Perugia nell’ambito dell’inchiesta per i casi di corruzione per le nomine al Csm. Inchieste che rischiano di travolgere una delle categorie più amate e rispettate. Un sistema malato ha intaccato persino il “terzo potere”.

Bonafede è stato al centro di polemiche anche con il pm Nino Di Matteo, da tempo sotto scorta per le minacce subite, che ha rivelato di essere stato contattato da Bonafede, dopo la sua nomina a ministro, per affidargli il compito di direttore degli Affari penali, che fu di Falcone. Poi Bonafede avrebbe cambiato idea. Di Matteo ha lanciato il sospetto che dietro questa mancata nomina ci siano state delle pressioni importanti. Bonafede ha negato con forza. Non conosciamo e forse non conosceremo mai la verità su questa vicenda. Perché nessuno conosce le motivazioni della mancata nomina e delle scelte operate.

Intanto proprio Nino Di Matteo e un altro magistrato, Sebastiano Ardita, hanno ricordato Falcone in una cerimonia al Csm, raccontando che Falcone fu tradito e osteggiato anche in vita. Soprattutto isolato. «Prima di essere ucciso dal tritolo mafioso – afferma Di Matteo – venne più volte delegittimato, umiliato e così di fatto isolato anche da una parte rilevante della magistratura». Il riferimento è alla nomina di Antonino Meli a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Ma non solo. Giovanni Falcone lavorava, cominciava a scardinare il sistema mafioso, portava in carcere i criminali e istruiva i processi, sosteneva in aula le accuse. Li faceva condannare. Il maxi processo nell’aula bunker dell’Ucciardone è ancora nel ricordo di tanti. Ma non tutti sostenevano il suo lavoro.

E la mafia lo uccise. Insieme a Paolo Borsellino. Caduto anch’egli, come vittima sacrificale, il 19 luglio del 1992. Stava indagando sulla morte del suo amico più caro. E forse aveva scoperto molte cose. La sua agenda rossa, che custodiva i suoi appunti preziosi, non venne mai più ritrovata.

 

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