Voglia di folk
Nell’ultimo album di Francesco De Gregori c’è un brano, Volavola, che sembra uscito dalla penna di uno stornellatore del secolo scorso. Come tutti gli artisti di vaglia, anche lo scorbutico Francesco ha saputo cogliere, e poi materializzare, una tendenza sempre più evidente nel clima inquieto di questi tempi. Se le derive e i precariati odierni stanno obbligando ad una nuova stagione di austerità settori sempre più ampi del nostro panorama sociale, essi sembrano anche sottintendere un bisogno sopito, troppo a lungo, sotto i sensazionalismi e le paillettes degli anni grassi: un’ansia di autenticità o, se preferite, un bisogno di riscoprire valori, suoni e linguaggi che sappiano ancorare gli incerti del presente alla solidità rassicurante della nostra tradizione popolare; tradotto in termini musicali: alla genuinità poetica del folk d’autore. Esistono ovviamente vari modi per farlo. Quello del veronese Massimo Bubola per esempio è un folk-rock a ballata, figlio di Dylan, da un lato, e dei cantastorie dall’altro. Ballate di terra e d’acqua (Eccher) racconta storie tragiche e profumate d’antico (in Uruguay evoca perfino il Garibaldi sudamericano), centrifuga ricordi, amori e nostalgie, ma non rinuncia a sorvolare il presente appeso ad un’inconfondibile poetica del quotidiano. Restando in Padania, come non citare il comasco Davide Van De Sfroos? Il suo ultimo Pica! (Venus), album pirotecnico e vitalissimo, gli ha regalato un inatteso successo transregionale. Un exploit tanto clamoroso quanto meritato, che conferma che questa riscoperta delle proprie radici non ha nulla a che vedere con certe febbri xenofobe o secessioniste e soprattutto che non mortifica affatto l’universalità e la fruibilità delle proprie proposte. A conferma che il trend attraversa l’intera penisola senza discriminazioni di latitudini e culture sonore, val la pena citare anche il romano Piero Brega. Già cofondatore nei Settanta dello storico Canzoniere del Lazio, lo ritroviamo oggi in veste solista con l’ottimo Fuori dal Paradiso (Il Manifesto), anche lui capace di coniugare l’intensità della miglior canzone d’autore con l’estroversione ruspante della musica popolare. È, guarda caso, la stessa formula incarnata in modo ancor più radicale dal siciliano Carlo Muratori. Nel suo recente La padrona del giardino (Egea) alterna l’italiano con la lingua della sua terra, prediligendo atmosfere acustiche e strumenti antichi: tamburi, fisarmoniche, bansuri, mandole, zammaruni… Eppure l’impatto esprime una modernità intrinseca, multietnica e mediterranea, forte di uno stile che riporta a De Andrè e a Fossati e che non rinuncia a descrivere drammi molto attuali come nella struggente Nassiriya. In fondo è il percorso inverso dello stesso sentiero che ha recentemente portato una rockeuse autentica come la conterranea Carmen Consoli a riscoprire e a confrontarsi con l’indimenticabile Rosa Balestrieri, la massima istituzione del folk siciliano. Opere e segnali che è difficile catalogare come espressioni dell’ennesima moda di passaggio. Giacché per sua natura questa musica, con tutti gli umori e i sapori che racchiude, non ha mai avuto nulla a che vedere con l’effimero, ma ne è piuttosto il miglior antidoto. CD Novità Giovanni Allevi Evolution (Sony-Bmg Sarà pure un pelo sopravvalutato, ma il cespuglioso pianista ascolano è un signor musicista, valido sia come compositore che come virtuoso. Ben lo dimostra questo ambizioso album costato quattro anni di lavoro e registrato col supporto di un’Orchestra sinfonica prestigiosa come quella de I Virtuosi Italiani. Musica classica a tutti gli effetti (qua e là echi di Stravinsky e Bernstein), ma figlia dall’immediatezza del pop e dei sincretismi stilistici della new-age.