Voci dal Genfest

Sono stati circa 4.000 da oltre 50 Paesi i giovani che si sono riuniti ad Aparecida, in Brasile, per l'evento dei giovani del Movimento dei Focolari. Alcune testimonianze da un gruppo di partecipanti italiani.
Gruppo di partecipanti italiani al Genfest 2024 in Brasile

Si è ormai conclusa l’esperienza del Genfest 2024, la manifestazione dei giovani del Movimento dei Focolari tenutasi dal 12 al 24 luglio in Brasile. Una manifestazione che non è stata soltanto un momento di festa insieme: l’evento tenutosi ad Aparecida dal 19 al 21 luglio è infatti stato solo la “fase due”, preceduta dalla “fase uno” – un’esperienza di volontariato in diverse realtà – e dalla “fase tre” – sempre ad Aparecida, con laboratori volti a declinare in svariati ambiti l’ideale della fraternità universale. Un’esperienza che ha dunque chiamato in causa l’impegno personale di ciascuno, fin dalle prime battute.

«La parte che ho apprezzato maggiormente è stata la fase 1 – afferma infatti Alfredo, di Modena -. Io ho prestato servizio da volontario presso la Fazenda da Esperança, all’interno della comunità di recupero dalle dipendenze. Restare quotidianamente a contatto con i ricoverati è stato un arricchimento costante, fare comunità con loro un regalo immenso». «In queste due settimane abbiamo respirato il mondo, in varie sue forme – conferma Davide -. Abbiamo cominciato conoscendo le persone ai margini della società, con l’esperienza della fase 1 che ha trasmesso come non mai la consapevolezza che ogni essere umano è capace di generare qualcosa di positivo nel giusto contesto, mentre nella fase 2 e 3 abbiamo avuto conferma che in tutto quello che viviamo e che vogliamo provare a fare non siamo soli, che non c’è barriera linguistica e culturale all’amore».

C’è stato anche chi nella prima fase si è dedicato, e ci si perdoni il bisticcio di parole, alla preparazione della seconda fase: «Nella prima fase ero ad Aparecida con il Gen Verde [gruppo musicale femminile del Movimento dei Focolari, ndr] a preparare delle coreografie di danza per l’evento centrale del Genfest mentre altri giovani preparavano le coreografie di teatro e percussioni – racconta Mirco, di Reggio Emilia -. Sono stati dei giorni interessanti, interattivi, dinamici e fantastici… perché ho potuto conoscere nuove persone, realtà, culture attraverso la danza. Così al mio rientro in Italia sarò pronto a farli conoscere per divulgare un pezzo di Genfest e di cultura assimilata». «Per me il momento più bello è stato preparare il concerto insieme al Gen Verde – conferma Martina -, perché ci siamo occupati anche noi in prima persona del loro concerto e ci hanno resi partecipi fin da subito».

Anche la fase 2, quindi, è stata più che un semplice momento di festa: «Bandiere che sventolano, voci che cantano, visi che sorridono, corpi che si abbracciano. Questo è il ricordo del mio arrivo ad Aparecida – racconta Marco -. Il numero così grande di giovani e così diversificato di culture è stato di grande impatto. Mi porto a casa una fase 1 dedicata all’aiuto del prossimo col volontariato, una fase 2 dedicata alla conoscenza di culture ed esperienze di giovani provenienti da tutto il mondo, e una fase 3 dedicata al mio impegno per il mondo unito con la scelta dei percorsi delle pathways community. Mi porto a casa la visione di un mondo unito».

Tante, naturalmente, le persone incontrate: «Ciascuna mi ha aperto gli occhi sul mondo e mi ha lasciato una testimonianza di vita piena, che si prende cura del mondo e che lavora per la pace – afferma Gloria -. Questi giorni hanno ravvivato in me la convinzione che il mondo unito è possibile se ognuno porta avanti la sua piccola rivoluzione lì dove è destinato a “fiorire”. Mi porto a casa la frase di Margaret: “Non diamoci pace finché non realizziamo la pace”». «In particolar modo nella fase 2 – aggiunge Maddalena, parlando di come l’incontro con tante persone diverse abbia dimostrato che l’unità non è la soppressione delle differenze ma la loro coesistenza rispettosa – ho potuto vedere come le nostre forti differenze culturali siano diventate strumenti di dialogo con l’altro. Questo l’ho notato in particolare nel modo in cui persone provenienti da diverse culture si salutavano: alcune hanno dovuto imparare a rispettare lo spazio personale di coloro che preferiscono evitare il contatto fisico, mentre altre si sono sforzate di essere più affettuose, ma alla fine tutti hanno trovato il modo per mostrare amore verso il loro prossimo e creare spazi di dialogo».

Spazi di dialogo che arrivano anche negli ambiti professionali di ciascuno: «Da giovane che lavora in ambito diplomatico, a contatto quotidiano con il fenomeno migratorio, ho trovato questo evento una svolta portata nel mondo dai giovani – afferma Gabriele di Roma – . “Uniti per prendersi cura”, il titolo del Genfest, è una sfida fondamentale del mondo moderno che è sempre più frammentato e bisognoso di cucire le proprie ferite. Vedere insieme tanti giovani, dagli studenti ai professionisti nei più vari campi, che hanno preso parte a questa sfida, è stato molto stimolante. Le esperienze che si vivono nel quotidiano in ogni angolo del pianeta e sono state raccontate mi hanno portato alle ferite di questa umanità. Poi i workshop in gruppi per settori di interesse sono stati degli incubatori di scambi, idee e proposte che possono e devono essere portati avanti a livello internazionale. Da qui nasce la proposta delle communities che Margaret Karram ha sottolineato a conclusione dell’evento. La Fazenda da Esperança mi ha mostrato poi come questa cura, quando viene attuata anche nel piccolo, può portare grandi cose. Un centro di recupero per ex tossicodipendenti che ora è un oasi felice di lavoro e fraternità che ridona dignità alle persone. Si ritorna nei propri Paesi consapevoli che a livello internazionale c’è una rete di persone che vive per uno stesso fine: Juntos para cuidar!».

Il pensiero infatti volge ora a come concretizzare quanto vissuto una volta rientrati a casa: «Non è sempre facile essere Gen in questo mondo – osserva Sara -. E soprattutto mettere l’Ideale della fraternità come priorità quando siamo buttati negli impegni quotidianità e la brutalità del presente. Il Genfest è stato un modo per ricordarmi che numerosi cuori accanto a me hanno lo stesso desiderio di amore e affrontano le mie stesse difficoltà. Una frase di una delle canzoni diceva: “Mancano le forze, ma in realtà sono molte più di quelle che sembrano”. In mezzo alle migliaia di persone che cantavano, ho chiuso gli occhi per un secondo, per cercare di imprimere per sempre la certezza che non sono sola a camminare verso il mondo unito».

«Come riassumere l’esperienza del Genfest in Brasile in poche parole? – conclude Giacomo – Durante la fase 1 abbiamo condiviso la quotidianità con persone ai margini della società, uomini donne e bambini con storie difficili alle spalle, alla ricerca di una nuova occasione e una nuova vita. Nelle comunità che abbiamo visitato ho potuto vivere con loro la spiritualità del Vangelo e ho potuto toccare con mano la forza e l’amore che ne derivano. I giorni del Genfest sono stati un vortice di emozioni. C’è stata la curiosità di conoscersi e l’allegria di ritrovarsi e festeggiare insieme. C’è stata la gratitudine per le esperienze condivise da tanti e la gioia di scoprire che viviamo tutti per lo stesso Ideale. Mi porto a casa da questo Genfest una carica di energia positiva, tanta gioia da condividere, un amore rinnovato e la consapevolezza che un mondo unito è possibile».

Qui sotto, il video del messaggio finale di Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari.

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