Vivremo in eterno
Se i Vangeli sinottici sono ricchi di promesse (su questo sito ne abbiamo commentate 13), quello di Giovanni ne è ricchissimo. Anche da questo Vangelo scegliamo soltanto alcuni testi, a cominciare da quelli che promettono la vita eterna, anche se dubito che oggigiorno una tale promessa sia molto apprezzata.
La vita eterna: rimane un po’ lontana dal nostro orizzonte, troppo celeste per i nostri gusti terreni, piuttosto astratta davanti a esigenze più corpose e a risorse più concrete che vorremmo avere subito a portata di mano. In ogni caso si tratta di qualcosa che dovrebbe riguardare il periodo dopo la morte e della morte è meglio non parlarne, anche se è la realtà più certa di tutte, e forse proprio per questo cerchiamo di rimuovere.
Andiamo comunque a Cafarnao, la cittadina che Gesù aveva scelto come base per la sua predicazione, dopo aver lasciato Nazaret, villaggio troppo fuorimano. Ora abitava in lungo di frontiera, sul lago di Galilea, dove passava una grande via imperiale che conduceva a Damasco.
Quel giorno si trovava nell’antica sinagoga sulla quale, quattro secoli più tardi, sorgerà la sinagoga monumentale di cui ancora oggi si possono ammirare le imponenti ed eleganti rovine. Il giorno precedente aveva compiuto uno dei miracoli più strepitosi, o uno dei “segni”, come ama chiamarli Giovanni. Seduto su un’altura avevo prese i cinque pani d’orzo disponibili e, dopo aver reso grazie, li aveva distribuiti alla folla, e lo stesso aveva fatto con i due pesci. Ce ne fu a sazietà per 5.000 uomini! (cf. Gv 6, 5-10). Non aveva promesso di sfamarli in un futuro più o meno lontano. Quello che era passato di mano in mano era pane da mettere sotto i denti. Un’azione di una tale concretezza che la gente voleva proclamarlo re, così egli avrebbe risolto per sempre ogni loro necessità. Com’era sua abitudine, Gesù si dileguò.
Il giorno seguente, in barca, raggiunse Cafarnao. La folla lo seguì e, nella sinagoga, si avviò un serrato dialogo col quale il Maestro voleva portare gli interlocutori a capire il “segno” della moltiplicazione dei pani. Quel “miracolo” era stata “segno”, appunto, di un altro pane che non avrebbe saziato soltanto la fame d’ogni giorno, ma quella più profonda di gioia, di pace, di pienezza di vita. C’è un pane che nasce dai solchi della terra e un pane che scende dal cielo; il primo sazia la fame di un giorno, il secondo sfama il desiderio d’infinito. «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (6, 35).
A quanti avevano mangiato il pane che aveva moltiplicato sul monte, Gesù offre ora un altro cibo – se stesso! – e promette quello che nessun benefattore dell’umanità potrebbe promettere: «Se uno mangia questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 58). Lo ripeterà più tardi a Marta, davanti alla tomba del fratello Lazzaro: «Chiunque crede in me, anche se muore vivrà» (Gv 11, 26); lo aveva affermato precedentemente: «Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno» (Gv 8, 51). “In eterno” significa in Dio, nel Paradiso. Non è soltanto una vita senza più la morte, che continua in maniera indefinita, ma una vita nuova, che appaga appieno perché è la stessa vita di Dio resa a noi pienamente partecipe.
Politici, sindacalisti, scienziati promettono benessere, salute, lavoro. Speriamo riescano nei loro intenti, perché abbiamo bisogno di benessere, salute, lavoro… Ma non siamo mai soddisfatti, c’è sempre qualcosa più in là a cui aneliamo, anche se non sempre sappiamo esprimerlo.
All’inizio della sua missione, dopo quaranta giorni di digiuno nel deserto, Gesù ebbe fame. Il diavolo gli suggerì di trasformare le pietre in pane, così si sarebbe sfamato e soprattutto avrebbe potuto ripetere quel gesto all’infinito, sfamando l’umanità intera. «Non di solo pane vivrà l’uomo – gli rispose Gesù –, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4). Non di solo pane… Abbiamo bisogno del pane ma anche di qualcosa che risponda a esigenze più profonde, nascoste nel nostro cuore. L’ha saputo manifestare bene uno spirito inquieto come il grande Agostino d’Ippona, con le celebri parole che aprono le sue Confessioni: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te».
Il Padre del cielo lo sa, per questo, assieme al pane quotidiano che provvedere a chi glielo chiede per sostenerlo nella vita terrena, ha in serbo un altro pane: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). Il Padre ci dà molto di più di quanto gli chiediamo, ci dà il pane del cielo, il suo stesso Figlio.
Gesù può dunque affermare che chi mangia di lui, chi crede in lui, chi osserva le sue parole, non morirà in eterno, avrà la pienezza della vita. Lo può fare perché è il Signore della vita, «lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13, 8).
Ha messo a nostra disposizione il pane eucaristico, la sua parola di vita, ci invita a sederci alla sua mensa e a credere in lui, perché vuole farci pregustare una gioia infinitamente grande, indicibile. Vuole portarci con sé, nella vita vera: «Entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25, 21). Andremo finalmente incontro a lui «e così per sempre saremo con il Signore» (1 Tess 4, 17).