Vivere senza mistero?
Noi possiamo cessare di essere figli di Dio, ma Dio non può cessare di essere nostro Padre.
Mentre cercavo quale tasto premere per il mio turno d’attesa alla posta, qualcuno, sorridendomi, è venuto in mio aiuto. Era Juan. Non lo vedevo da molti anni. Come sacerdote serviva in una chiesetta che frequentavo ed eravamo diventati amici. Quando mi ero trasferito all’estero, avevamo mantenuto i contatti. Un giorno, l’annuncio che aveva deciso di lasciare il sacerdozio per sposare la “donna della sua vita”. Poi le lettere si erano diradate e di lui non avevo saputo più niente.
«Quanti anni sono passati! – ha iniziato Juan –. Tanti. Ho vagato e continuo a vagare. Ho provato la miseria, non tanto di soldi, perché i miei mi hanno sempre aiutato, ma la miseria dell’uomo solo. È come se un documentario a colori sulla natura fosse diventato di colpo in bianco e nero. Cercare un lavoro, una casa, assicurare una vita decente alla famiglia. E non c’è stato più tempo per nient’altro. Amicizie? Tutti mi evitano e forse neanch’io so cosa significhi mantenere un’amicizia.
«Il tempo è passato su di me, senza che me ne rendessi conto. Mia moglie era una giovanissima vedova, con due bambine. Era venuta da me a chiedere aiuto e consigli. Me ne sono innamorato e, pensando di compiere una grande missione, l’ho sposata. Ora è tutta per le figlie».
Mentre Juan parlava, mi chiedevo dov’era finito il giovane prete che incantava per la sua libertà, per la semplicità, per una sapienza sproporzionata alla sua età. Dov’era sfumata la sua fede ardente?
Stavo cercando di far combaciare due immagini che si respingevano a vicenda, e questo lui deve averlo intuito. «Hai ragione a non capire chi sono. Anch’io non mi riconosco. Praticamente sono passato da una vita in cui il mistero era una componente costante, a un modo di vivere che mi fa contare i soldi, che mi dice che la mia macchina deve essere più nuova di quella del vicino, che mi inculca l’idea che devo mostrare ad ogni costo che sono superiore e ho le mie giuste ragioni su tutto. Così ho cominciato a vivere senza “mistero”. Ricordo quando ero attento alle sorprese della vita. Ora tutto dipende unicamente da me, dal mio stipendio, dall’umore di mia moglie, dall’arroganza delle figlie che usano la parola “dio” soltanto per lanciarmi qualche freccia avvelenata».
E dopo una pausa: «Ho letto da qualche parte che l’indifferente è un cadavere che cammina. E io sono diventato così. Scusa lo sfogo. La rabbia contro me stesso, il senso di tradimento… chi me lo può togliere?».
Siamo rimasti in silenzio. In quel momento scattava il mio numero allo sportello postale. Ho chiesto a Juan se aveva ancora tempo per aspettarmi. E mentre sbrigavo le mie cose, con la coda dell’occhio lo vedevo mangiarsi nervosamente le unghie. Tornato da lui, gli ho proposto: «Che ne dici? Andiamo a prendere un aperitivo al bar?».
Seduti a un tavolino mal riparato da un ombrellone, il nostro colloquio è proseguito. Ma quando Juan mi ha chiesto se ero felice, non ho saputo cosa dirgli. Che senso aveva raccontare le proprie gioie se chi ti sta davanti era disperato?
«La differenza tra me e te è evidente – è intervenuto lui –. Tu continui a vivere in relazione con un invisibile interlocutore che si rende visibile e ti sorprende in ogni persona che incontri. Io invece mi ritrovo ogni giorno davanti allo specchio di me stesso e vedo solo aumentare i capelli bianchi, le rughe, la tristezza di occhi sempre più spenti. È il malefico nulla che mi sorprende e mi mangia».
Mentre sorseggiava l’aperitivo, mi sono accorto che la sua mano tremava. M’è venuta allora in mente una frase di Luis Evely; gliela ho detta e ripetuta quando mi ha chiesto di ripeterla, finché se l’è appuntata sul biglietto da visita che mi aveva chiesto. Eccola: «Noi possiamo cessare di essere figli di Dio, ma Dio non può cessare di essere nostro Padre».
Juan s’è fatto profondamente serio. Ora il silenzio tra noi non pesava. E non è stato turbato nemmeno dal lungo pianto di lui.
Quando ci siamo abbracciati per salutarci, sapendo che mi credeva, ho potuto dirgli che incontrarlo era stato un dono di Dio e mi aveva fatto felice.