Vivere l’abisso tra buio e sapienza

Quali sono i significati del simbolo della "notte"? Da che cosa è abitata e perché sfida il nostro sguardo? A partire dal pensiero antico, alcuni cenni sulla simbologia della notte "alla luce" della nostra attuale cultura.
Buio

Non sapevo, quando qualche anno fa a seguito di un viaggio un amico mi regalò un’artistica nottola in legno, che nel giro di poco tempo mi sarei ritrovato ad avere in ufficio una piccola collezione di civette di diverse forme e provenienze. Varie persone hanno infatti via via alimentato la raccolta, con un piccolo dono per rappresentare la filosofia, disciplina alla quale mi sto dedicando.

Com’è risaputo, già a partire dalla mitologia greca, la nottola è l’animale notturno che, associato ad Athena (Minerva), la dea della sapienza, è stato assunto per simboleggiare la ricerca filosofica.

Potrebbe sembrare strano che il tema della sapienza sia stato associato proprio a un “uccello del malaugurio”, dal brutto aspetto, segno di malasorte, eppure lo stesso Hegel ancora nell’Ottocento stigmatizzava ancor più questo simbolo della filosofia quando affermava che “la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo”1. Al crepuscolo, ossia, quando il giorno volge al declino.

Al di là delle varie interpretazioni di questo dato, sulle quali qui non possiamo soffermarci ulteriormente, è interessante considerare l’indubbio collegamento tra la sapienza e la notte, che viene in questo caso espresso ricorrendo a un simbolo (un animale notturno) che si caratterizza proprio per la capacità di penetrarne in qualche modo l’oscurità, avendo degli occhi più capaci di scorgere nel buio, di individuarne le forme, di vedere più lontano e più in profondità, anche quando la realtà si presenta maggiormente misteriosa. 

La nyx (notte) nel pensiero antico 

Fin dall’inizio l’umanità ha percepito il mondo attraverso delle opposizioni binarie (maschile-femminile, destra-sinistra, cielo-terra, sacro-profano, giorno-notte, ecc.), spesso dando loro anche delle connotazioni metafisiche ed etiche. Si tratta di simboli cosmici con una fortissima radice nelle culture umane fin dai loro albori. Tra queste “coppie”, una di quelle più universali, importanti e onnipresenti nell’esperienza umana è proprio l’opposizione tra luce e tenebre, sperimentata in una alternanza ritmica2.

Non a caso, molte cosmologie cominciano i racconti della creazione con l’apparizione della luce, del sole o di un principio luminoso equivalente, dalle tenebre primordiali, così come la fine del mondo viene descritta come scomparsa della luce in una tenebra finale, che tutto inghiotte, come “crepuscolo degli dei”.

In questo senso la luce viene a simboleggiare la vita, la felicità, la prosperità, l’immortalità e – in senso più ampio – l’essere perfetto, tanto da essere assunta come manifestazione della divinità, o suo diretto attributo. Le tenebre sono d’altra parte associate normalmente al caos, alla morte, agli Inferi.

La notte si qualifica anzitutto come tale, infatti, perché si caratterizza per l’oscurità: il tema dell’alternanza del giorno e della notte è infatti inscindibilmente legato al contrasto tra la luce e le tenebre. La notte è oscurità impenetrabile, associata al colore nero, luogo delle tenebre piene di mistero, inquietante, spesso simbolo di terrore. Ciò che è tenebroso, oscuro, tetro, rappresenta infatti il contrario di ciò che è chiaro: la notte è proprio quel periodo di tempo che è privo della luce del sole, e che viene normalmente diviso, secondo gli antichi, in 3 o 4 “veglie notturne”.

Nella lingua greca la famiglia di vocaboli che fa capo a skotía (tenebra) non indica dunque soltanto un fenomeno ottico, ma anche una realtà di ordine etico-religioso, tanto che lo stesso termine greco nyx (notte), che originariamente serviva per designare una misura di tempo, ha assunto via via anche un uso simbolico con significato equivalente a quello di tenebra3.

Il mito greco presenta la notte come la grande dea Nyx, vestita di nero e con l’abito trapunto di stelle, che durante il giorno riposa in una caverna nel lontano Occidente e al tramonto, con un carro al quale sono attaccati dei cavalli neri, viaggia nel cielo.

Nyx è madre delle divinità della “vendetta”, della “sventura” e della “morte” (Tanathos). In questa dimensione il simbolo ha assunto un chiaro collegamento con concezioni etiche che hanno fatto divenire la notte “la compagna del male, che volta le spalle alla vita”4, associandola per questo direttamente al tema della morte. Così la notte è anche tempo di ignoranza e di peccato, in cui l’oscurità delle tenebre assume chiaramente una connotazione moralmente negativa.

Il simbolismo della luce e delle tenebre proprio delle religioni occidentali (incluso l’Islamismo) ha certamente un legame radicale con la tradizione filosofica greca, che spesso fornì alla luce, e di conseguenza anche al buio notturno, questa connotazione sia intellettuale che etica.

Nella mitologia, nel culto e nell’iconografia tutte le religioni esprimono simbolicamente l’idea della luce come simbolo di benedizione, e anche quando non oppongono diametralmente luce e tenebre come due principi ostili – così come avviene in tutte le religioni dualiste -, manifestano sempre una marcata preferenza per la luce.

Nel pensiero antico, a proposito della notte, troviamo tuttavia anche un insieme di significati positivi: “secondo la credenza antica, nell’oscurità l’uomo può associarsi a forze misteriose, può investigare il futuro e scoprire tesori”5. La notte per questo era considerata il tempo della magia, e della dea lunare propizia alla magia.

Nyx è anche la madre dei sogni, anche di quelli amorosi, legata com’è al principio passivo, femminile e inconscio. La si associa per questo anche a ciò che è “irrazionale” e “incosciente”: dispensatrice del sonno e liberatrice dagli affanni del giorno, la notte presso i Greci prende anche il nome di Euphrosyne, madre di Hypnos, il sonno. Per questo il vocabolo “notte” talvolta assume nella grecità profana anche questa connotazione positiva, quando indica il tempo del sonno ristoratore.

Va anzitutto rimarcato il fatto che nella notte l’oscurità non appare più (a differenza del concetto di “tenebra”) come un fatto assoluto, ma in certo senso limitato. È ciò che, pur non essendo ancora alba, in qualche modo già la prelude: così come per il simbolo dell’acqua, la notte diventa espressione di “fertilità”, “potenzialità” e “germinazione”; per questo è uno stato di anticipo in cui, anche se non è ancora giorno, si dà la promessa dell’alba.

La notte si pone dunque in relazione simbolica col grembo della madre protettrice, indicazione del seno materno protettore e fertile. Essa, soprattutto per l’uomo dell’antichità, è particolarmente infatti vicina alle origini stesse della vita, più che il giorno, poiché la notte primordiale dominava prima che il sole e la luna fossero “creati”. Esiodo non a caso diede alla notte il nome di “madre degli dei”, perché i Greci credevano che la notte e il buio precedessero l’origine di tutte le cose.

La simbologia della notte, associata alle tenebre, non presenta dunque connotazioni esclusivamente negative, indica anzi quella condizione capace di aprire alla persona umana un accesso alle profondità dell’essere, quelle solitamente più nascoste perché originarie, quelle che “di giorno” non si vedono, e che si riferiscono al senso ultimo della sua esistenza, della sua origine e del suo destino, al rapporto con se stesso, con la realtà che lo circonda, con il mistero e la trascendenza.

Non a caso, insieme a un misticismo della luce e dell’illuminazione, si è sviluppata – come è noto – anche una vera e propria teologia apofatica, paradossalmente basata sulla dottrina delle tenebre mistiche, come mostrano autori quali Dionigi l’Aeropagita nella sua Teologia Mistica, Giovanni Scoto Eriugena, Filone Ebreo, nel trattato mistico inglese dal titolo La nube della non conoscenza, fino alle due “notti oscure” di Giovanni della Croce: “usando una immagine dell’Antico Testamento, il misticismo non è la Colonna di Fuoco che, di notte, camminava davanti all’accampamento dei figli d’Israele, ma piuttosto la Nuvola delle Tenebre”6.

La “notte culturale” 

Oltre alla considerazione della simbologia della notte nella Bibbia – cui si dedica un apposito contributo di questo numero della rivista -, sarebbe interessante esaminare come il tema della notte sia stato affrontato e sviluppato nel corso dei secoli dai filosofi e dai pensatori d’Occidente. Non è però possibile farlo esaustivamente qui.

Ci limitiamo solo a rilevare il paradosso di essere passati attraverso l’epoca dei lumi, ma di trovare anche chi, come Elie Diesel, nel secolo scorso ha fatto della notte un tema di riflessione per cercare di interpretare tempi assai bui, come le tragedie che nel Novecento hanno investito molti popoli7. La notte è oggi anche tema di analisi sociologica e di riflessione all’interno della pastorale giovanile, che vede aprirsi spazi inaspettati di intervento8.

A noi qui interessa fermarci su quel tipo di notte culturale9, oscura, collettiva, che ben ha individuato Giovanni Paolo II quando nel 1982 a Segovia – non a caso ricordando San Giovanni della Croce e la sua Notte oscura – affermava che l’uomo moderno “nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e collettiva l’abisso dell’abbandono, la tentazione del nichilismo, l’assurdità di tante sofferenze fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige l’apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive”10. Non mancano oggi recenti interventi di Benedetto XVI proprio sul dramma di una cultura che delinea un orizzonte nel quale sembra che Dio sia stato estromesso, “oscurato”.

Negli ultimi secoli alcuni degli spiriti più sensibili e attenti non hanno infatti mancato di cogliere – attraverso varie denominazioni, tra cui quella del nichilismo – la paradossalità di una cultura che sembra brancolare nel buio dei valori, della civiltà.

Proprio Nietzsche, non a caso, parlava di una solitudine notturna della ragione, e di un’alba portatrice di grigio e di freddo: “non fa sempre più freddo? Non è notte? Sempre più notte?”. E Hölderlin: “Ma ahimé! Vaga nella notte, e dimora, come negli inferi / senza il divino la nostra generazione”11.

Ed ancora la scrittrice spagnola Maria Zambrano: “stiamo vivendo una delle notti più buie che abbiamo mai visto”12.

Sì, lo smarrimento dell’immediato senso vivo e divino di tutte le realtà che questi animi geniali hanno avvertito e sofferto fino alla follia è, ci sembra, la sorgente di questa oscurità nella quale ci troviamo.

Ben lo aveva diagnosticato il filosofo Martin Heidegger: “La notte del mondo distende le sue tenebre. Ormai l’epoca è caratterizzata dall’assenza di Dio, dalla ‘mancanza di Dio’…

La mancanza di Dio significa che non c’è più nessun Dio che raccolga in sé visibilmente e chiaramente gli uomini e le cose, ordinando in questo raccoglimento la storia universale e il soggiorno degli uomini in essa…

Si è spento lo splendore di Dio nella storia universale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. È già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza…

Posto che, in genere, a questa epoca sia ancora riservata una svolta, questa potrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo, cioè si capovolge a partire dall’abisso. Nell’epoca della notte del mondo l’abisso deve essere riconosciuto e subìto fino in fondo. Ma perché ciò abbia luogo occorre che vi siano coloro che arrivano all’abisso”13. 

Sentinelle del mattino 

Eppure questa “notte” potrebbe presentarsi anche – così come del resto, “alla luce” della fede, tutte le prove o i momenti di “crisi” – come una nuova occasione, una nuova opportunità, come l’albore di una rinnovata cultura. Del resto i momenti più fecondi di cammino, anche spirituale, si rivelano spesso proprio quelli della prova e della crisi, dunque anche di buio.

Lo affermava con acutezza proprio Zambrano nel testo Persona e democrazia: “si potrebbe dunque credere che la nostra cultura stia morendo… Ma potrebbe essere tutto il contrario, un’alba”14.

A questo punto possono tornare utili le immagini e le simbologie originarie sulla notte che abbiamo cercato di individuare a partire dal pensiero antico: è vero che la notte si identifica con l’oscurità, con il terrore e la paura, con la morte, con l’irrazionale, tuttavia è anche la situazione nella quale si può intravedere il futuro, scoprire un tesoro, è lo spazio delle potenzialità e della germinazione, è ciò che più avvicina all’origine della vita, è ciò che permette l’accesso alle profondità dell’essere, paradossalmente quella notturna è la condizione che abilita a guardare più lontano.

In riferimento al rapporto con Dio, la notte è poi anche ciò che – e questo ce lo conferma l’esperienza dei mistici e dei santi – fa maturare un rapporto autentico, più vivo e vero, perché abilita a cogliere con più attenzione e disponibilità Dio stesso che proprio in questa mancanza di luce irrompe con tutta la sua luminosità, proponendo all’uomo la sua salvezza, di abitare per sempre nella sua casa, dove “non c’è più notte”.

Forse è questa la preziosità che la simbologia della notte consegna agli abitatori e ai costruttori di questo nostro tempo, e della sua cultura: “Qualcosa se n’è andato per sempre – scrive ancora Zambrano – adesso è questione di tornare a nascere, di far nascere nuovamente l’uomo d’occidente in una luce pura e rivelatrice”15.

Torna così, a tutto campo, il compito profetico assegnato alla sentinella del mattino già dal profeta Isaia: “Mi gridano da Seir: ‘Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: ‘Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!’” (Is 21, 11-12)16.

Non a caso l’Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, richiamando Qo 1, 13, ricorda che Dio ci ha creati come degli “esploratori” (cf. FR 21), e la consegna lasciata ai giovani a conclusione della Giornata Giubilare [2000] della Gioventù è stata proprio di essere “le ‘sentinelle del mattino’… in quest’alba del terzo millennio”17.

Ci sembra che per esserlo fino in fondo, recuperando l’immagine della nottola da cui siamo partiti, sia necessario davvero non avere paura dell’abisso di cui parlava Heidegger, laddove però quella “razionalità allargata” di cui ormai con insistenza parla Benedetto XVI può oltrepassare anche le chiusure nichilistiche e relativistiche per trovarsi abilitata non solo a guardare più in profondità, ma dotata di quella pupilla che solo è in grado, come a suo modo auspicava Heidegger, di “capovolgere la visione del mondo da capo a fondo”.

Ciò significa, da una parte, far procedere a due ali il volo verso la conoscenza della verità, così come afferma Fides et ratio, nella circolarità della fede e della ragione (cf. FR 75), e con quest’ultima liberata dai lacci delle pretese di assolutezza o dell’asservimento strumentale e meramente utilitaristico.

Se, come dice la stessa Enciclica al n. 79, “la Rivelazione cristiana… diventa il vero punto di aggancio e di confronto tra il pensare filosofico e quello teologico nel loro reciproco rapportarsi”, è in essa – lì dove logos e amore sono intrinsecamente connessi e inseparabili – che si illumina anche l’abisso. 

Oltre la notte 

Un abisso davvero “riconosciuto e subíto fino in fondo” in quel mistero di amore, “oceano sconfinato della verità” (cf. FR 23), rivelatosi nella passione, morte in croce e resurrezione di Gesù. Nella “follia” e nello “scandalo” di “ciò che nel mondo… è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1 Cor 1, 28), nella gratuità di un amore che giunge fino al “baratro” e lo inabita illuminandolo, così come si rivela nella croce di Cristo, si coglie tutto il valore non solo esistenziale ma anche teologico, e per questo culturale, dell’espressione “La notte è la mia luce” di San Giovanni della Croce (Notte oscura).

Tutta la Chiesa nell’Annuncio Pasquale della Veglia canta il darsi di una notte più chiara del giorno: “Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia”.

Ha scritto Giuseppe M. Zanghì: “il Sacro precristiano era (è) sì Notte: ma, negli spiriti più profondi, Notte che portava (porta) in sé l’attesa del Giorno. Quella Notte nella quale gli angeli hanno cantato l’evento della nascita nella carne del Verbo. Quella Notte che ha partorito la risurrezione del Cristo il quale, calatosi in essa fin nei suoi luoghi ultimi, l’ha inondata della luce della Trinità”18.

Per questo così si esprime una preghiera musicata dal Gen Rosso: “Oltre il buio chissà cosa c’è…, in fondo al nero uscita non c’è. Eppure nella notte vedo più lontano… Eppure il tuo silenzio parla mi racconta te ed io non ho parole ma ti cercherò. Forse mi resta un pensiero, una piccola luce, ho imparato che ci sei dietro l’ombra che mi fa tremare se più certezza non ho. Eppure nella notte vedo più lontano…, l’invisibile. Eppure il tuo silenzio parla mi racconta te ed io non ho parole ma ti cercherò. Oltre la notte, oltre l’invisibile c’è un abisso d’energia, l’infinito che ci fa volare. Oltre la notte, oltre l’invisibile c’è un abisso di energia quella forza che ci fa restare, stare adesso qui!”19.

È una vocazione affascinante e nel contempo impegnativa, proprio “adesso qui”, accettare la sfida di volare alto nel cercare la verità, e non solo di non aver paura della notte, ma di andare a cercarla anche – se non proprio – lì. Da vere nottole, e con la pupilla giusta: “Gesù è Gesù Abbandonato. Perché Gesù è il Salvatore, il Redentore, e redime quando versa sull’umanità il Divino, attraverso la ferita dell’Abbandono, che è la pupilla dell’occhio di Dio sul mondo: un Vuoto infinito attraverso il quale Dio guarda noi: la finestra di Dio spalancata sul mondo e la finestra dell’umanità attraverso la quale si vede Dio”20. 

 

NOTE 

1 Cf. la Prefazione di G.W.F. Hegel ai Lineamenti di filosofia del diritto.

2 Cf. R.J.Z. Werblowsky, Luce e tenebre, in AA.VV., L’uomo e i simboli, Jaca Book, Milano, pp. 253-256.

3 Cf. H.C. Hahn, Tenebra, in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, a cura di L. Coenen – E. Beyreuther – H. Bietenhard, Dehoniane, Bologna 1991, pp. 1830-1831.

4 Notte, in Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p. 132.

5 Ibid., p. 132.

6 R.J.Z. Werblowsky, Luce e tenebre, cit., p. 256.

7 Cf. E. Wiesel, La notte, La Giuntina, Firenze 1986.

8 Cf. M. Pollo, I giovani e la notte, Las, Roma 1997; CEI. Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile, I giovani, il tempo e la cultura della notte. Una proposta di pastorale giovanile, LDC, Roma 1999.

9 Cf. G.M. Zanghì, Notte della cultura europea, Città Nuova, Roma 2007.

10 Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della Celebrazione della Parola in onore di San Giovanni della Croce, Segovia, 4.11.1982, n. 8, in L’Osservatore Romano, 6.11.1982.

11 F. Hölderlin, L’arcipelago, in Id., Tutte le liriche, Mondadori, Milano 2001, p. 281.

12 M. Zambrano, Persona e democrazia. La storia sacrificale, Paravia – Mondadori, Torino – Milano 2000, p. 2.

13 M. Heidegger, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1982, pp. 247-248.

14 Ibid., p. 28.

15 Ibid., p. 2.

16 Su questo tema si vedano anche l’interessante libro di N. Palmisano, Quanto resta della notte? Analisi e sintesi del medioevo novecentesco all’alba del 2000, Las, Roma 2004, e l’ampia produzione del filosofo italiano S. Palumbieri nel campo dell’antropologia filosofica e della spiritualità.

17 Giovanni Paolo II, Veglia di preghiera della XV Giornata Mondiale della Gioventù, Roma, Tor Vergata, 19.09.2000, n. 6.

18 G.M. Zanghì, Notte della cultura europea, cit., p. 45.

19 Gen Rosso, Oltre l’invisibile, in 1 (1991).

20 C. Lubich, citata in G.M. Zanghì, Notte della cultura europea, cit., p. 73.

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