Vivere il fallimento

Le sconfitte, le delusioni, le perdite fanno parte della vita di ciascuno di noi. Sono fonte di continua frustrazione. Come vivere questo momento per trasformarlo in occasione di crescita e miglioramento? Risponde Pasquale Ionata, autore di “Accogli ciò che è” (Città Nuova, 2019)

Per quanto ci sforziamo di tenere il mondo che ci circon­da sotto controllo e di renderlo più razionale, prevedibile, c’è sempre qualcosa che va storto.

Infiniti sono gli esempi della capacità di accettare e vivere il lutto delle perdite, delle sconfitte, dei tradimenti, delle bocciature, dei fallimenti, del­le delusioni, delle incomprensioni, dei rifiuti, delle separazio­ni, dei divorzi, dei traumi, che continuamente interferiscono con le nostre esistenze. Se non capitano a noi, colpiscono chi ci sta vicino e sta a noi scegliere come affrontarli.

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Ma cosa è necessario sapere per smettere di avere questa paura del fallimento?

Per prima cosa è necessario convincersi che: “Non esiste fallimento, ma solo feedback”, e questa convinzione è sem­plicemente il modo più funzionale di concepire il fallimento. È importante ricordarsi poi che si tratta di un concetto che è stato creato da qualcuno in qualche momento del futuro. Non esiste in realtà. Quando fallisci in qualcosa, ciò che ac­cade è che non raggiungi il risultato desiderato, tutto qui. Al suo posto, ottieni un risultato diverso.

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Quando tutti noi intorno all’età di dodici mesi imparia­mo a camminare, non abbiamo paura del fallimento, cadiamo e ci rialziamo subito. Siamo esploratori alla ricerca attiva del successo, e ogni tentativo che facciamo e che non va a buon fine è meramente un’azione che non ha raggiunto in maniera efficace l’obiettivo… non ancora! Continuiamo a provare a fare cose nuove, finché non ci riusciamo. Bisogna essere con­vinti che, dal momento che qualcun altro ci riesce, possiamo riuscirci anche noi. Poi cresciamo, e impariamo a notare i no­stri errori. Ogni volta che non siamo in grado di fare qualcosa ci viene fatto osservare, e così veniamo introdotti alla nozione di fallimento. Improvvisamente, non saper fare bene le cose al primo colpo diventa un problema, e cominciamo a metterci sotto pressione per riuscire a fare tutto in maniera corretta all’istante.

Se non ne siamo capaci, spesso lo consideriamo un esempio di fallimento, e questo ci fornisce una facile scusa per rinunciare e per dire che “non siamo stati all’altezza” o che siamo stati “un disastro”. È fondamentale ricordarsi che, solo perché abbiamo assimilato queste idee bislacche sul falli­mento, non significa che dobbiamo rimanervi intrappolati. Al contrario, possiamo renderci conto che è possibile assumere un altro punto di vista in merito. Se ci si riflette bene, il fal­limento è quasi inevitabile per la maggior parte dei compiti da svolgere. Ma è così che si impara a fare meglio qualcosa, a diventare più capaci. Più si fallisce, più si hanno informazioni che possono aiutare a rimettere le cose a posto. Quindi biso­gna allenarsi a “fallire” il più possibile e ricordarsi che ogni persona di successo ha fallito più volte di quante sia riuscita a realizzare i propri obiettivi.

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Un’altra cosa da ricordare è che spesso il senso di falli­mento colpisce le persone perché queste si sforzano di rag­giungere la perfezione. Quando non riescono a fare una cosa perfettamente, vedono la loro mancanza di successo come un problema immenso. È importante rendersi conto che se qualcosa fosse perfetto, non potrebbe migliorare; se non po­tesse migliorare avrebbe un limite, e tutto ciò che ha un limi­te non può essere definito “perfetto”. L’ironia della faccen­da, perciò, è che niente e nessuno è perfetto. La chiave non è essere tali, o riuscire sempre in tutto, ma sentirsi a proprio agio nei casi di sconfitta e di errore, così da poter imparare dai propri sbagli, abbandonare le vecchie abitudini e fare del proprio meglio la volta successiva.

Da “Accogli ciò che è. Quando la realtà diventa terapia” di Pasquale Ionata;144 prezzo: € 13,00

 

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