Vivere Dio fra noi
Introduzione al testo di Chiara Lubich su “Gesù in mezzo”, riportato di seguito (pp. 14-15). Alcuni riferimenti biblici, ecclesiologici e patristici. La dinamica pasquale che permette l’esperienza di questa presenza di Gesù. Un nuovo modo di “essere Chiesa”.
Emmanuel è il nome dato da Isaia al futuro Messia, figlio della vergine (7, 14), che Matteo riprende per definire il salvatore annunciato dall’angelo, mandato per rassicurare Giuseppe davanti al dramma-mistero di Maria madre (e vergine) (cf. 1, 23). “Dio con noi”, non Dio lontano, da raggiungere a tentoni, scalando montagne inaccessibili o cercando oltre le stelle.
Colui che fa uno
Il Dio cristiano fa sempre il primo passo, perché è amore, e l’amore ama per primo. Sorprende chi lo cerca, perché non si mette dietro le sue spalle, ma gli va incontro. I Magi lo cercavano fra le stelle, ma queste li conducono a una casa dove lo trovano, bambino indifeso, custodito da una giovane coppia. Ma non è un esserci qualsiasi, il suo: “Dove sono due o tre uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”, ha garantito lui stesso (Mt 18, 20). Non una presenza individuale, indipendente da chi lo accoglie, come di un bel simulacro da adorare, ma un legame, una forza che unisce, o, meglio, fa uno. Dice Origene: “Cristo, dove vede due o tre riuniti nella fede nel suo nome, va là ed è in mezzo a loro, attirato dalla loro fede e provocato dalla loro unanimità”1.
Il Dio della rivelazione cristiana è Trinità, comunità, ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1, 26) e la missione del Figlio è stata quella di restaurare l’unità rotta dal peccato: non salvare esclusivamente le “anime” in senso individuale, ma nel rapporto fra loro. Se la salvezza è incontrare Dio, questo Dio è l’Emmanuel, il Dio con noi e fra noi, non al vertice della piramide, ma alla sua base, tutti formando un grande circolo che la abbraccia. Eccetto i primi secoli della Chiesa, quando erano chiari i lineamenti del volto di Cristo presente in mezzo agli uomini uniti nel suo nome, in seguito questi si sono offuscati, dando luogo a un rapporto di tipo individuale con Dio, raggiungibile attraverso un’ascesi personale che alle volte addirittura staccava dagli altri, considerati come impedimento a Dio. Dio era visto in primo luogo come ospite dell’anima, dove egli abitava: l’incontro con lui avveniva in questa intimità. Non che mancasse l’accento sull’amore del prossimo, per il quale si facevano opere di misericordia, anche eroiche, ma l’individuo prevaleva sulla comunità: il “luogo di Dio” privilegiato era la preghiera individuale, la contemplazione, il rinnegamento di sé.
Gesù in mezzo
Il Vaticano II e il movimento liturgico, biblico, teologico, patristico che l’hanno preparato, hanno ricuperato il volto autentico della Chiesa, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). La Chiesa-comunità come luogo di Dio fra gli uomini. Essa è il Cristo che continua a camminare lungo i secoli, fra i popoli, le culture: Egli è il pellegrino che illumina e riscalda i cuori degli uomini, come ai due discepoli diretti a Emmaus (cf. Lc 24, 35), i quali passano dal camminare accomunati da una vuota tristezza all’annuncio gioioso dell’incontro con un Vivente che li aveva resi fratelli.
È il grido che si ritrova continuamente sulla bocca e negli scritti di Chiara Lubich: “Gesù in mezzo… è Gesù! Non è che qui fra noi ci sia una formula o ci sia una virtù o ci sia la bontà o l’attenzione o il divino; qui c’é una persona; noi con i nostri occhi non la vediamo, ma lui ci sente e scruta ogni nostro pensiero, ogni palpito del nostro cuore, ogni adesione della nostra anima. Lui c’è. Io non so se è lì, se è qua, se è là; immagino che sia in tutti e ci avvolga tutti. Ma Lui, persona, c’è”2.
Questo Emmanuel, rimasto un po’ in ombra nei secoli, è stato rimesso in evidenza da Chiara, grazie al carisma che Dio le ha donato. In un secolo segnato da divisioni, da incomunicabilità (“l’inferno sono gli altri” di J.-P. Sartre), da guerre distruttive, il tutto espressione della negazione (teorica e pratica) di Dio, e però attraversato da un’ansia, a volte sotterranea, ma anche espressa, di incontro, di rapporto, di comunità, di socialità, Chiara indica che Dio c’è ed è qui: IN MEZZO!
È un’espressione tipica sua, semplice, che riecheggia gridi di esultanza dei profeti: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente” (Sof 3, 17); “Rallegrati, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te” (Zc 2,14). Fra le macerie di una guerra, forse la più crudele della storia, la rivelazione folgorante di “Gesù in mezzo” è stata il segno pasquale che la risurrezione vince la morte, che il sepolcro vuoto è icona di una vita sfuggita alla prigionia della pietra che la voleva trattenere, per spargersi nel mondo ad annunciare l’amore che dà speranza.
Morte che dà vita
Perché questo avvenga, dice Chiara, “per lui bastano poche cose: due o tre”. La semplicità è segno di Dio: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Lc 10, 21). Due o tre: non è necessario che siano dotti, forti, adulti, sacerdoti, vescovi, religiosi, politici, ricchi… Due o tre: bambini, donne, poveri, peccatori, evangelici, buddisti, musulmani, indù, atei… A una sola condizione: amare. Non un amore qualsiasi, però: “essere amore, cioè essere di fronte agli altri niente, perdersi del tutto, vivere l’altro, amare, non essere, perché solo se non siamo, siamo Gesù”3.
Con queste parole Chiara vuole dirci che cosa significa essere immagine e somiglianza di Dio, del Dio Trinità. Gesù in mezzo non può essere prodotto da noi, ma è un dono, il dono. A noi resta solo fare il vuoto per accoglierlo, come nella Trinità. Le tre Persone si amano totalmente, ognuna è proiettata nell’altra in un dono-accoglienza incessante: “non esistono” l’una nell’altra, perché l’altra possa “essere”. Così fra noi: l’amore reciproco crea lo spazio, che permette a Gesù di farsi presente. Niente di più semplice del nulla (per amore), perché fa cadere l’ammucchiarsi ingombrante della ricchezza, la tortuosità dell’orgoglio.
Questo Dio in mezzo a noi è assolutamente originale: sta al nostro livello, ma allo stesso tempo sembra rovesciarci dal di dentro, sembra andare contro tutte le nostre tendenze di autoaffermazione, perché sposta il nostro centro di interesse da noi per dirigerlo sugli altri e così incontrare lui: se io guardo me stesso non incontro i suoi occhi che mi guardano (nel fratello).
Quindi dall’ascetica del “nada”, del rinnegamento di sé, al dinamismo pasquale della “morte di sé”, perché il Risorto sia fra noi. Semplicità radicale, questa “logica”, che si capisce facendone l’esperienza: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Produce Gesù in mezzo; al contrario, rimane solo, senza Gesù e senza gli altri.
Moltiplicare le Chiese
Il rapporto con Dio, in questa dinamica, è ridotto all’essenziale: niente clericalismi, classi religiose, devozionismi esteriori, sentimentalismi intimistici. Non c’è differenza fra prete e laico, fra Papa o Vescovo e semplice fedele, fra credente e ateo. Tutto si relativizza davanti all’essere niente, perché Gesù ci sia. L’uomo e la donna ritornano alla sublime nudità delle origini. E Chiara dice che questa è la Chiesa: “… lì dove è lui, forma quell’Opera che lui è venuto sulla terra a formare: la Chiesa”. Diceva Tertulliano: “Dove tre (sono riuniti), anche se laici, lì è la Chiesa”4.
Una Chiesa anch’essa con solo l’essenziale e niente di superfluo, corpo di Cristo, tenda di Dio fra gli uomini. Come Maria, semplicemente madre, che offre il Figlio all’umanità. Chiara, a questa luce, rivela la sua vocazione: “[Questa sua presenza] ha suscitato dentro di me una passione immensa di costruirgli mille, mille, mille, mille, migliaia, migliaia, milioni di Chiese, non fatte di muratura, ma di due o tre uniti nel suo nome sparsi in tutto il mondo”5.
Cioè, permettere a Gesù di stare fra gli uomini con lo stesso amore che aveva quando percorreva le strade della Palestina, andando alla ricerca dei poveri, dei peccatori, degli emarginati e denunciando l’ipocrisia dei rappresentanti religiosi del popolo e l’astuzia dei potenti. Un Gesù vero uomo e vero Dio, tutto Dio e tutto uomo, senza interpretazioni riduttive e fuorvianti, che piace agli uomini e donne veri, credenti o no, molte volte delusi dalle liturgie staccate dalla realtà, dall’incoerenza fra la Parola detta ma poco vissuta, dai formalismi e dalle diplomazie religiose. E con la sete di comunione, che sta al fondo del loro cuore, perché concepiti in un progetto che ha lo stampo della Trinità.
Il carisma dei carismi
Comunità, convento, fraternità: sono alcune parole che designano dove si realizza la vita consacrata; parole di carattere sociale, comunitario, che indicano un convivere. Giovanni, Vescovo di Antiochia, scrive: “Non sai forse che cosa sia un monastero? È una casa tutta sacra, forse eretta in nome di Cristo Dio, nei cui sacri penetrali ci sono dipinti di Lui, dei suoi miracoli e delle sue divine sofferenze. Nel tempio ci sono i libri sacri e il loro prezioso arredo. C’è la santa comunità di coloro che per Dio hanno rinnegato il mondo e se stessi. Essi stanno presso Dio, sono in ascolto di Lui, giorno e notte cantano e salmeggiano… E lo hanno sempre in mezzo a loro, secondo la sua sicurissima e divina promessa: ‘poiché dove sono due o tre riuniti nel mio nome – Egli ha detto -, io sono in mezzo a loro’”6.
L’essenziale della comunità religiosa è la presenza di Gesù, condicio sine qua non perché sia “cristiana”. Esistono forme svariatissime di vita religiosa, ma tutte hanno la vocazione fondamentale di generare, custodire e offrire alla Chiesa e al mondo la presenza di Gesù.
La scelta di Dio è l’elemento primo della consacrazione religiosa: “vivano per Dio solo”, invita la Perfectae caritatis (5). Quale Dio? Il Dio del Vangelo, come abbiamo visto; non c’è altra possibilità. Cioè l’Emmanuel, che si fa presente nella storia. È il carisma dei carismi, cioè il carisma che rende “carismatici” i carismi, riempiendoli di Spirito Santo, altrimenti rimarrebbero delle “professioni” (insegnamento, sanità, studio, lavoro sociale, propaganda missionaria, anche la preghiera). Gli uomini e le donne del nostro e di tutti i tempi chiedono ai religiosi “un di più” oltre la competenza e la buona volontà: hanno bisogno della salvezza che solo Gesù può dare.
Una salvezza che attinge tutto l’uomo: anima, corpo, rapporti, società. Le comunità religiose rientrano fra quelle chiese che Chiara appassionatamente voleva moltiplicare in tutto il mondo, perché siano sale della terra e luce del mondo (cf. Mt 5, 13-16), un mondo cieco e che ha perso il gusto del vivere, che grida per vedere e reclama il pane di vita.
Comunità che sanno tenere nel loro interno la presenza di Gesù possono essere questa risposta, nella massima semplicità e radicalità. Non comunità clericali, separate, diverse dal resto dell’umanità, ma composte da uomini e donne veri, con un cuore di carne al loro interno verso i propri fratelli e sorelle e, all’esterno, verso le persone fra cui e per cui vivono. Diverse, se vogliamo, ma solo per la presenza di Gesù, che ne fonde in unità i membri, mostrando che un altro mondo è possibile.
C’è un passo in più. Dopo la Mariapoli del 1959, alla quale parteciparono religiosi di più di sessanta ordini, contando solo i maschili, Chiara ha scritto: “Attraverso quest’Opera (Maria) sembrava voler servire il suo Figlio Gesù in molte aiuole della Chiesa, perché tutti si potessero sentire, oltre che del loro particolare ordine, della Chiesa una. Quando Gesù aveva detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro’, non aveva escluso certo di sottolineare anche: ‘Dove un francescano e un benedettino, o un carmelitano e un passionista, o un gesuita e un domenicano… sono uniti nel mio nome, lì sono io…’”7.
Gesù in mezzo fa l’unità non solo all’interno delle singole Famiglie religiose, ma anche fra loro. Nel disegno di Dio i carismi sono chiamati a costruire la Chiesa, come fiori che in un giardino cantano una sinfonia di colori. Chi realizza questa armonia è Gesù in mezzo a loro. È la vocazione escatologica della vita religiosa: attirare il cielo sulla terra, iniziando la realizzazione dei cieli nuovi e della terra nuova (cf. Ap 21, 1), la vita della Trinità partecipata alla natura e all’umanità: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (21, 3-4).
NOTE
1 Origene, Comm. al Cantico, 41: PG 13, 94 B.
2 C. Lubich, Risposta alla cittadella di Loppiano (27.11.1975).
3 Id., Risposta ai membri del Movimento della Polonia, Russia e Lituania (5.03.2000).
4 Tertulliano, De exhort. cast., 7: PL 2, 971.
5 C. Lubich, Risposta alla cittadella di Loppiano (27.11.1975).
6 De monast. laic. non trad.: PG 132, 1134.
7 C. Lubich, Scritti spirituali/3, Città Nuova, Roma 1979, p. 65.