Vive ancora la Tosca di Monica Casadei
Non c'è, al centro, la storia d'amore fra Tosca e il pittore rivoluzionario Cavaradossi; né, narrativamente, lo sviluppo della trama canonica del melodramma di Puccini; nemmeno il classico spartito lirico; e neanche lo scorrere dei tre atti della celebre opera. Concentrando l'attenzione principalmente sull'acme del dramma, cioè il secondo atto, meno melodico ma più intrigante, Monica Casadei ha scelto come nucleo focale drammaturgico della sua “Tosca X”, il rapporto vittima-carnefice, quello tra Tosca e il barone Scarpia, il capo della polizia sfrenatamente innamorato della diva.
In lui la coreografa ferrarese identifica il male assoluto, gratuito e subdolo, che cova nell'uomo, la smania di possesso, l’abuso del potere. E su questo binario tematico il compositore Luca Vianini ha rielaborato le armonie dissonanti della partitura musicale inserendo tracce contemporanee e reiterando alcune frasi o parole chiavi utilizzandole in loop. Con un effetto sorprendente, ammaliante.
La reiterazione, infatti, vibra nei corpi dei danzatori, e si espande sulla scena nera segnata da una linea rossa che fende come una lama le quinte del palcoscenico, come a segnare una ferita ma anche un'apertura nelle tenebre dell'animo umano. E nero è il colore dominante dei costumi, con strisce di grigio argento nelle presenze femminili. Casadei ha costruito, per la sua compagnia Artemis Danza, un vero e proprio balletto, corale, sontuoso per potenza espressiva.
I danzatori appaiono e scompaiono nella costante penombra, spesso di corsa, in inseguimenti e fughe, o frontali e compatti da sembrare un esercito; riempiendo e svuotando la scena per lasciare spazio ad assoli e duetti dentro fasci di luce e zone illuminate, dove malvagità e ferocia, ma anche solitudine e struggimento, di Tosca, ricorrono nell'intreccio fra i protagonisti facilmente riconoscibili.
Si respira un'atmosfera da thriller, di trame oscure, per il forte conflitto, anche visivo, tra luce e tenebre, tra male e bene, che pervade lo spettacolo. Il segno ripetuto è già in apertura di sipario con un gruppo di uomini schierati di spalle – ritorneranno in altre scene le schiene esibite nell'espressiva articolazione dei muscoli – sulla cui pelle scorre una striscia nera che evidenzia i loro movimenti nervosi.
Le posture contorte, la tensione delle braccia e la loro segmentazione, la vorticosità delle gambe, l'accelerazione di un gesto che si trasmette e amplifica, si sdoppia e si moltiplica, l'impetuosa energia, cede il posto a sequenze più intime, di lirismo poetico: come la sequenza in cui Tosca trascinata a forza, in avanti, da un danzatore alla volta, cammina algidamente sopra i singoli corpi nel frattempo adagiatisi voluttuosamente a terra. E intanto arriva il momento in cui esplodono le due celebri romanze “Vissi d'arte” e “E lucean le stelle”.
E il finale, che vede Tosca avanzare a braccia aperte sul proscenio sul cui bordo sembrerebbe buttarsi per suicidarsi. Ma lì si ferma. Perché muoiono il fuggiasco, il cattivo Scampia e il pittore, ma lei non muore. Vuole continuare a vivere.
Al Teatro Vascello di Roma. In tournèe a Alghero (Ss), il 2 marzo; a Palau (Ot), il 3; Tempio Pausania (Ot), il 4; Rimini, Teatro Novelli, il 20.