Vittorio Grigolo tenore fuoriserie

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Ascoltarlo nello Stabat Mater rossiniano a Roma, diretto da Gianluigi Gelmetti (un uomo sincero, che lascia esprimere i talenti ai giovani) è uno spettacolo gioioso. Perché Vittorio, 27 anni, toscano da sempre nella capitale – cinque lingue, una laurea in scienze politiche, tanto sport – è vitale, autentico, non finge una parte. Con la musica in famiglia e quindi nel sangue, a tre anni imitava le canzonette, a undici solista fra i pueri cantores della Cappella Sistina, a tredici esordiva al Teatro dell’Opera come Pastorello in una Tosca con Pavarotti. Poi, tanto studio (ancor oggi, ogni giorno ) con il basso Danilo Ricosa, molta gavetta: Ho cantato a Rovigo, per beneficenza, sotto la pioggia, a Ca’ Rosa, nel Veneto, in un ristorante-pizzeria un Elisir d’amore; diciotto volte Il turco in Italia a Vienna, a 19 anni: all’ultima recita ho capito che se ancora mi durava la voce, potevo andare avanti . Non troppo in là, però: Vorrei ritirami sui 45-50 anni, quando sarò al massimo, per lasciare un ottimo ricordo di me. Intanto, nel 2001 Muti l’ha scelto per le sue mezzevoci al Concerto inaugurale dell’Anno Verdiano alla Scala, nel 2003 un folgorante Elisir all’Arena di Verona – quest’anno debutterà in Traviata – il luglio prossimo il Requiem verdiano a Caracalla… La mia carriera deve ancora volare, ma mi sento maturo per dare un saggio pieno , afferma. Ma cos’è per Grigolo cantare? Cantare è come l’ossigeno, si mette in moto tutto sé stesso: non si dice forse che una preghiera arriva meglio cantandola? Io ci metto tanta passione, sul palco cerco di essere senza veli: magari mi esce una nota sporca, ma se il cuore è pulito, lo diventa poi anche la nota. E cosa vorrebbe passasse al pubblico? Di amare di più quello che ci circonda, di sapere che non siamo qui per caso, di vivere nell’armonia. Finché c’è la musica, c’è la serenità. Quando non ci sarà più il canto, c’è da aver paura. Ma lui, Grigolo, è felice? Sì, anche perché sono innamorato. Giorni fa, cantando Una furtiva lagrima, il verso M’ama, sì m’ama! era un messaggio gridato alla mia ragazza, sincero, tanto che la gente si è commossa: avevo fatto vibrare non solo le mie corde ma quelle degli altri. Ma l’opera, seguita più all’estero che da noi, ha un futuro? Il suo futuro è in mano a noi giovani: dobbiamo darle freschezza, mostrare ciò che stiamo vivendo realmente. Il pop o i cantautori hanno successo? È perché traducono in una canzone i sentimenti, un’esperienza di vita, e te la fanno capire. È quanto cerco di fare, agire sul palco la mia vita. Infatti, non c’è solo lirica per Vittorio. Canta e scrive musica pop (Manderò un mio singolo a Bocelli), ha composto un musical America molto bello, ha collaborato alla Tosca con Lucio Dalla (che mi ha molto arricchito), agli Arcimboldi a Milano ha cantato e ballato in West Syde Story; si impegna nella solidarietà – al 1° Convegno nazionale della Croce Rossa a Roma era sul palco a cantare con la Carrà e Morandi, ha scritto una canzone per la Giornata mondiale contro la fame – convinto però che bisogna scendere sotto casa ad aiutare gli altri per prima cosa, come fa lui con chiunque. Ed è in pace con sé stesso. Anche perché sono un cristiano che cerca di fare del bene al prossimo, un uomo che sente molto la fede e il mistero . E che ha in dono una voce bellissima.

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