Vittorio Bachelet, una memoria viva

Il ricordo del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, figura di spicco della Azione Cattolica, che il 12 febbraio 1980 viene assassinato dalle Brigate Rosse in un agguato all’Università della Sapienza di Roma

Vittorio Bachelet è ancora vivo nel ricordo di quanti lo hanno conosciuto nei molteplici ambienti che frequenta nel corso della sua vita: l’università, le istituzioni, la politica, l’Azione Cattolica Italiana. Egli si interessa in particolare di diritto amministrativo e, nel 1957, pubblica un volume sull’attività di coordinamento nell’amministrazione pubblica dell’economia, rimasto punto di riferimento nella legislazione nazionale ed europea. Egli insegna in vari atenei italiani Diritto amministrativo e Diritto pubblico dell’economia.

Vittorio Bachelet, nella sua vita, coltiva con amore la passione per i problemi sociali, giuridici e politici e, come affermato da Vincenzo Summa, «è un costruttore di unità». Lo stesso Bachelet scrive che «è urgente formare generazioni nuove a un senso della società, non certo per avere “riserve” per le future formazioni ministeriali – per cui ci sono anche troppi aspiranti – ma per continuare piuttosto con una diffusione nel corpo sociale, quel servizio che, almeno in parte, è già stato offerto per il vertice; per formare cioè una “classe dirigente” come si suole dire, intesa però non in senso solamente politico, ma come guida cristianamente ispirata dell’opinione, della stampa, dei costumi, dell’educazione non solo scolastica (ma anche – ad esempio cinematografica), delle relazioni di lavoro, della vita professionale in genere».

Bachelet è impegnato nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci) e nell’Azione Cattolica Italiana, della quale è uno dei principali dirigenti fino a divenirne presidente nazionale, rinnovando la stessa associazione in un’ottica di attuazione del Concilio Vaticano II. Egli democratizza la vita interna dell’Azione Cattolica Italiana, accompagnando il rinnovamento conciliare della liturgia, promuovendo una nuova corresponsabilità dei laici nella vita della Chiesa, guidando l’associazione verso un progressivo distacco dall’impegno politico diretto. Bachelet ricopre anche la carica di vicepresidente del Pontificio consiglio per la famiglia, del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, e del Comitato italiano per la famiglia.

Bachelet si iscrive alla Democrazia Cristiana, nella quale ammira Aldo Moro. Con le elezioni amministrative del giugno 1976 viene eletto consigliere comunale a Roma e, poi, il 21 dicembre 1976 viene eletto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, del quale fa parte come membro laico.

Il 7 e l’8 febbraio, durante il convegno “Vittorio Bachelet uomo della riconciliazione”, promosso dalla presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana e dall’Istituto dell’Azione cattolica per lo studio dei problemi sociali e politici “Vittorio Bachelet”, è stato possibile rileggere un tratto essenziale del suo profilo: quello di uomo del dialogo, con una esemplare capacità di ascolto e di ricucitura, testimoniata negli anni non facili nei quali ha avuto grandi responsabilità sia in ambito civile che ecclesiale.

Nello specifico, secondo Guido Formigoni, docente all’Università Iulm di Milano, per Bachelet la riconciliazione è uno strumento per la costruzione di un tessuto di convivenza nella moralità della cittadinanza e della professione, prima che nello schieramento politico. Per questo, considerando il periodo storico nel quale Bachelet si muove, nell’attuare la Costituzione repubblicana, la ricerca giuridica originale si accompagna ad una vigilanza per difendere una democrazia in evoluzione, appoggiandone le innovazioni possibili. Ne discende anche un interesse per la convivenza internazionale, laddove il servizio alla patria si accompagna alla ricerca della pace come esperimento difficile, così come difficile ma necessario è quello del processo di integrazione europea.

Come Vicepresidente del CSM, Bachelet si trova in un periodo complesso, durante il quale, come ricorda Luigi Scotti, egli manifesta la propria «capacità a tener compatta la magistratura di fronte agli attacchi eversivi dentro e fuori i processi». Infatti, egli si muove tra dinamiche interne, caratterizzate dall’aumento a trenta del numero dei componenti del CSM, di cui venti togati eletti con il proporzionale, quindi con la possibilità di logoranti contrapposizioni senza concrete prospettive strategiche e la difficoltà di gestire una magistratura sfiduciata e scontenta per l’assenza di riforme normative e strutturali, e dinamiche esterne, quali quelle della stagione del terrorismo. «La ricerca di aggregazioni dei consensi fu tipica della gestione Bachelet, che nel Consiglio stava a rappresentare la società civile più che uno schieramento politico o un settore culturale; e ciò potenziava quella sua capacità di dialogo che scaturiva naturale e spontanea dal contatto con gli altri, lui sempre sorridente, sempre disponibile non solo umanamente per cortesia, ma politicamente disponibile alla ricerca e allo sforzo operativo insieme».

Marco Ivaldo, dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, ricorda che Bachelet guida l’Azione Cattolica Italiana nel compiere quella scelta religiosa che la caratterizza da allora, a significare la riscoperta della «centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato» ed un «impegno più rigoroso a ritrovare le radici della fede e a viverla con coerenza». Il percorso di rinnovamento della Azione Cattolica Italiana sostenuto da Bachelet è contemporaneamente un programma di attuazione del Concilio, laddove egli stesso afferma che la scelta religiosa, cioè puntare sui valori essenziali, «non vuol significare ovviamente una volontà di sottrarsi al faticoso e spesso impervio confronto con la realtà sociale e culturale nella quale [la Chiesa] opera, ma è semmai indicativo di un metodo col quale in tale realtà essa lavora, che è quello di misurarne i riflessi sulla coscienza dell’uomo». Quindi Bachelet respinge «un uso ideologico e politico del cristianesimo, un uso ideologico e politico che oggi viene nuovamente perseguito dalle tendenze sovranistiche e populistiche». Allo stesso tempo, Bachelet esclude «la riduzione della fede cristiana a fatto privato» ma, anzi, auspica «la libera partecipazione dei credenti, con i loro argomenti, a una discussione pubblica sensibile alla verità».

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