Vittoria con disincanto

Il Partito popolare di Mariano Rajoy ha conquistato la maggioranza assoluta. Hanno inciso le pressioni dei mercati, ma gli spagnoli hanno premiato anche i partiti nazionalisti
Mariano Rajoy primo ministro spagnolo

Nessuna sorpresa nei risultati delle elezioni generali in Spagna, se non quella di una conferma oltre le previsioni dei sondaggi di quel che era già successo alle elezioni locali nel maggio scorso. Il Partito Popolare (PP) ha conquistato la maggioranza assoluta con ben 186 seggi, e questo gli permetterà di governare senza troppe concessioni alle altre forze politiche rappresentate nella Camera dei Deputati. E ciò fa un po’ di paura!

 

Storico questo numero di seggi, che supera perfino la vittoria raggiunta da Aznar nel 2000. Come storico è pure il naufragio dei socialisti con gli appena 110 seggi: mai il PSOE è stato così poco rappresentato. E storico poi è il numero di partiti (13) presenti in Parlamento. A dire il vero, se c’è una novità da segnalare, questa è la crescita dei parlamentari nazionalisti, in particolare i 16 della destra catalana (CiU) ed i sette della sinistra separatista basca, che questa volta si è presentata sotto il marchio Amaiur, che ha potuto concorrere alle elezioni generali dopo un tempo di ostracismo scioltosi poco prima delle elezioni locali del messe di maggio. Ma ci sono ancora 11 parlamentari nazionalisti di diversa tendenza.

 

Corre un certo disincanto nella quotidianità della società spagnola, per le strade e sulle reti sociali. Si sa che l’Europa e i mercati premono per dei cambiamenti politici che diano fiducia e sicurezza alle mosse economiche. Ecco perché tanti dei più di dieci milioni e ottocento mila cittadini che hanno votato il PP, questa volta l’hanno fatto forse per dimostrare che i cambiamenti si possono fare in stile democratico, senza interventi esterni. Oppure perché pesa il preconcetto che la destra e gli imprenditori sono esperti in campo economico. E ciò che ora occorre al Paese è generare posti di lavoro. Su questo siamo tutti d’accordo, e questo è stato l’accento più marcato di Mariano Rajoy nel suo primo discorso, quando è comparso davanti alle telecamere la sera del 20 novembre: combattere la disoccupazione.

 

Gira in questi giorni, appunto nelle rete sociali, nei blog e  via email, una breve riflessione del romanziere Pío Baroja, appartenente alla Generazione ‘98, che classifica gli spagnoli in sette categorie in funzione del loro “sapere”. L’ultima categoria la compongono quelli che «vivono in modo inconsapevole grazie al contributo degli altri; e questi si chiamano politici e qualche volta intellettuali». La riflessione risale al 1904, ma la sua ampia diffusione dice quanto la si sente attuale, in un momento in cui la classe politica ed il gioco democratico sono più sopportati che voluti.

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