Vite da Giro

Piccoli ritratti di uomini (e campioni) dal Giro d’Italia. Oggi il primo giorno di riposo, domani arrivo in salita all’Altopiano del Montasio
Maxim Belkov

«Le corse in bicicletta si vincono quando si può, raramente quando si vuole», diceva Coppi. E come dargli torto, avrà ripetuto dentro di sé Maxim Belkov sul traguardo della nona tappa del Giro d’Italia, da Sansepolcro a Firenze. Ventott’anni, Maxim è un ciclista russo di una squadra super russa che di nome fa Katusha, il sostantivo femminile più diffuso nei territori dell’ex Unione Sovietica. Per nome la cultura, per cognome una cordata di sponsor nazionali che sullo sport credono pesantemente, investendo altrettanto, al punto di dar vita ad un vero e proprio “progetto ciclistico globale”: un’opportunità per diffondere la pratica sportiva dando una chance ai migliori talenti cresciuti in terra di Russia.

Belkov è uno di questi ragazzi, uno che ce l’ha fatta anche se a dire il vero è in Italia che ha capito di poter diventare corridore non solo per passione, ma anche di mestiere. Viene da Iževsk, la città dove vengono prodotti i fucili AK-47, i Kalašnikov per farla breve, ma parla l’italiano e vive a Prato. Non è un campione o meglio lo è stato a guardare il palmares, visto il titolo europeo a cronometro nella categoria under 23 conquistato nel 2007. Poi il passaggio tra i grandi, piazzamenti pochi, ma buoni, zero vittorie in quattro anni di professionismo. Poco per una giovane promessa. Avrebbe voluto vincere anche prima Maxim, ma raramente le corse in bicicletta si vincono quando lo si vuole soprattutto se vieni “promosso” per fedeltà e dedizione a luogotenente dei capitani. Esploratore, guastatore del genio ciclismo, Belkov è uno di quelli che spesso è chiamato ad andare in avanscoperta per stanare gli avversari, in fuga vento in faccia. Ieri a Firenze ha vinto da campione, sfondando le linee nemiche: sessanta chilometri di fuga in solitaria, centoquaranta in compagnia, pochi metri di gloria. Il tempo di ringraziare tutti, sventolare la bandiera del suo paese sul palco e rientrare nei ranghi.

È un gran bel Giro questo. Con un sir Bradley Wiggins (team Sky), vincitore del Tour de France 2012 che non ti aspetti. Prudente lungo le discese bagnate e scivolose, tanto da essere impacciato, tanto da inciampare su un anonimo tornante incontrando la paura: la paura di fallire, di non riuscire, di essere sotto una cattiva stella. È un gran bel Giro con un italiano in maglia rosa: Vincenzo Nibali (Astana) che ha messo tra sé e il temuto avversario inglese una dote di un minuto e sedici secondi. È un gran bel giro con il francese Laurent Pichon, numero di gara 106, a un’ora e quarantatré minuti da Nibali, ma con due denti rotti e quattro punti di sutura al mento. È un gran bel Giro con il velocista Mattia Gavazzi (Androni-Venezuela) che torna in gruppo dopo una squalifica (la seconda) per uso di cocaina: dieci mesi in comunità e un percorso di disintossicazione al Sert. Insomma è veramente un gran bel Giro con una lista infinita di storie. C’è chi vince e c’è chi perde, ma alla fine sono tutti campioni.

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