Vite in cerca di senso
In Giappone sono aumentati i reati commessi da persone oltre i 65 anni. Uno dei motivi l’ha spiegato la signora Saito-san: compie piccoli furti e reati per essere arrestata e messa in prigione. Appena esce lo rifà. La prigione, infatti, è l’unico modo per sfuggire alla solitudine, è un posto dove ci sono «molte persone con cui parlare» (Noreena Hertz, Il secolo della solitudine, Il Saggiatore 2021).
Solitudine
In Italia le famiglie composte da un solo componente sono un terzo del totale, in continuo aumento. Negli Stati Uniti il 60% degli ospiti nelle Case di riposo non riceve mai visite. È una «crisi di solitudine globale» dovuta a molte cause. Arriva proprio mentre l’aspettativa di vita cresce: in Italia 85,3 anni per le femmine, 81 per i maschi (dati Istat 2019). Dopo la pensione, oggi non è raro sopravvivere altri 20 anni o più, di cui almeno dieci in discreta salute. E siccome nascono sempre meno bambini, la società invecchia. Secondo l’Istat nel 2040 un italiano su tre avrà più di 65 anni. Ma questi «milioni di vecchi» che stanno riempiendo il mondo come vivono? Alcuni bene, altri molto male, tra solitudine e depressione. Con alcune novità.
Tecnologia
C’è una nuova dimensione della solitudine, provocata dalla tecnologia che invade le nostre vite. Il mondo digitale, composto da «macchine stupefacenti ideate per menti e corpi giovani», non si occupa della nostra natura delicata, fragile e sentimentale. Non fa sconti. Ogni volta che un anziano partecipa ad una video conferenza sussulta vedendo la propria immagine: si sente smascherato, le rughe sembrano evidenti, così come l’età. Sistemarsi i capelli o mettersi di profilo non serve. «Chi è quello che vedo riflesso davanti a me? Perché l’immagine interiore che ho di me stesso è così diversa da quella che ora è davanti ai miei occhi?» (Massimo Mantellini, Invecchiare al tempo della rete, Einaudi 2023).
L’anziano cerca di inserirsi, a volte con successo, ma il nuovo mondo è troppo complicato e diverso: per esempio le amicizie non sono come quelle di una volta. Le relazioni sociali in Internet sono «effimere, casuali, a costo zero». Non scaldano l’anima, non alleviano la solitudine. I ricordi, i gusti e le esperienze di una vita sono inutili nella costruzione della reputazione online, anzi a volte sono di ostacolo, per cui nel mondo digitale l’anziano si sente spesso impacciato, fuori luogo, fuori tempo, impresentabile, lento, ridicolo, incerto e, soprattutto, giudicato. «Combatte per non vedersi confinato alla periferia del mondo», ma alla fine si arrende, con distacco e fastidio. Ha deciso, «diventerà semplicemente vecchio».
Linguaggio
Anche economia e politica contribuiscono alla solitudine delle persone, spingendo per una mentalità egoistica: ognuno deve essere autonomo, efficiente, pensare prima di tutto a sé stesso e al proprio successo personale. Cambia il modo di esprimersi: usiamo di meno parole come dovere, noi, bene comune, insieme, cittadini, e di più termini come ottenere, io, possedere, consumare, volere. Nonostante la lezione del Covid, molti continuano a prendere invece di dare, imbrogliare (o fare i furbi) invece di aiutare, accumulare invece di condividere. Di conseguenza, soprattutto per gli anziani aumenta la sensazione di inutilità, di essere invisibili o sopportati a stento.
Stili di vita
Anche i giovani, però, non se la passano troppo bene. Un ragazzo su cinque negli Usa afferma di non avere amici. Secondo l’Istat, in Italia 220mila adolescenti sono insoddisfatti della propria vita. Tanti i suicidi tra i giovanissimi. D’altra parte, se passiamo tutto il giorno a fissare lo schermo del cellulare o del pc, o davanti alla tv a guardare l’ultima serie, diventiamo incapaci di empatia, di stare insieme, di guardarci negli occhi. Le interazioni dal vivo sono impegnative, ci sentiamo soli anche in mezzo alla folla.
C’è poi un’altra novità, valida per tutta la società, ma soprattutto per i giovani. I comportamenti non sono più, come una volta, influenzati dai valori, dalle istituzioni o dalle ideologie dominanti, ma più spesso dai gusti, dalle sensibilità, dai mutevoli interessi personali. In pratica ogni individuo cerca un proprio stile, che dia “senso” alla propria vita. Esplorando nuove esperienze, più o meno superficiali, in cerca dell’autorealizzazione. Non contano sindacati, partiti, istituzioni o chiese, ma l’individuo. Emerge una società orizzontale, «priva di rappresentazioni collettive condivise per nascita» (Luigi Berzano, Quarta secolarizzazione, Mimesis 2017).
Nella costruzione del proprio stile di vita, si passa facilmente da “Dio” a “io”. La spiritualità diventa una scelta personale, si adatta alla sensibilità dell’individuo in cerca di qualcosa di “speciale” che «riempia il vuoto della vita e costituisca una nuova fonte di senso». I social indeboliscono i legami di fiducia e reciprocità, proponendo una “saggezza leggera”, che assicura già qui e ora benessere e svago. Non interessano i precetti delle chiese tradizionali, le pratiche religiose si sviluppano attraverso «l’osservazione e l’imitazione degli altri», si basano sulla «vicinanza espressiva ed emotiva».
La spiritualità si frammenta, aumenta la libertà, ma anche la responsabilità dell’individuo, che cerca le proprie risposte da solo. Non più quindi una religione istituzionale che guida dall’esterno, ma autonomia e sensibilità personale per «le questioni ultime che riguardano il destino individuale e collettivo». Con tutti i rischi di isolamento e instabilità che questo comporta.
Luoghi
La solitudine di giovani e anziani ha dunque origini diverse, ma la soluzione forse è la stessa. Certamente ci si può abituare a stare da soli, ma non è una cosa buona se è vero, come dice Aristotele, che «l’uomo felice ha bisogno di amici». E di solitudine si può anche morire. C’è bisogno, dunque, di più comunità. Di luoghi in cui sentirsi accolti, ascoltati, non giudicati. Senza fretta. Di progetti e occasioni per ritrovarsi, lavorare e scherzare insieme, per riscoprirsi capaci di amare e servire gli altri. Insomma: di comunità dove sentirsi a casa.
—
La solitudine non è solo sentirsi trascurati, è anche sentirsi invisibili.
Noreena Hertz