Vita umana e diritto
Chi guarda con preoccupazione le scelte del presidente statunitense Donald Trump, auspicherebbe vedere i liberal Usa concentrati nella difesa attiva e intransigente delle famiglie dei migranti che si vedono sottratti i figli minori sul confine messicano. E, invece, lo stato di New York, simbolo dell’America più colta e avanzata, ha recentemente approvato la norma che estende l’aborto praticamente fino al nono mese in certi casi (grave malattia del feto e rischio della salute per la donna). La questione non può che riaprire questioni irrisolte e mina il fondamento del nostro vivere comune. Ne abbiamo parlato con Marina Casini, giurista e presidente del Movimento per la vita italiano.
Come si spiega questa incapacità, in certi ambienti, a considerare l’integralità nella tutela dei diritti umani?
Vi è una radice comune in tutti gli atteggiamenti descritti nella domanda: l’egoismo che cancella l’altro quando è scomodo. Non vi è differenza tra il figlio appena concepito e quello che sta per nascere dopo nove mesi di gravidanza. La scienza dimostra che lo sviluppo è continuo, senza salti di qualità. Lo ha confermato per quattro volte il Comitato nazionale per la Bioetica; la Corte Costituzionale ha affermato che persino nei primi articoli della legge 194 è riconosciuto il diritto alla vita del concepito; anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in due decisioni (2011 e 2014) ha affermato che fin dal concepimento esiste un essere umano. Ma quasi tutte le leggi nazionali scompongono in periodi la gravidanza e non consentono l’aborto nell’ultimo periodo, se non quando è a grave rischio la vita della madre.
Cosa cambia in concreto?
La differenza non è nella realtà, ma nella maggior visibilità del figlio che alla fine della gravidanza ha le stesse fattezze del neonato. L’egoismo è perciò frenato dal sentimento, a meno che, come nella recente legge di New York, prevalga la durezza di cuore. La stessa cosa avviene riguardo a coloro che fuggono dalla violenza e dalla fame. Finché sono lontani nessuno li vede, ma quando sono vicini ai nostri confini occorre una particolare durezza di cuore per respingerli. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dichiara che il fondamento della libertà, della giustizia e della pace consiste in un atto della mente, cioè nel riconoscimento della uguale dignità di ogni essere umano. La qualità di uomo è più importante di quella di cittadino, di persona ricca e intelligente, nato o non ancora nato.
Anche se rimossa, la questione aborto è una frattura non ricomposta nella società italiana. Alcuni esponenti della Lega ora al governo sembra che vogliano cambiare la legge 194 in senso restrittivo scatenando polemiche e nuove polarizzazioni…
Santa Madre Teresa di Calcutta domandava: «Se accettiamo che una madre possa uccidere il proprio figlio, che cosa ci resta?». In realtà, il riconoscimento del concepito come un figlio cioè come uno di noi, è la prima pietra di un nuovo umanesimo che illumina ogni altra povertà e ultimità umana e fornisce l’energia per accogliere ogni essere umano povero e rifiutato. Giorgio La Pira, un politico per il quale è in corso la procedura canonica di beatificazione, ha scritto che la legge 194 è «integralmente iniqua». Il Movimento per la vita condivide questo giudizio perché la legge 194 non è solo contro la vita ma anche contro la verità.
Il punto di forza della legge è stata, comunque, la depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza in certi casi….
Non spaventa la depenalizzazione dell’aborto, ma il rifiuto di riconoscere l’uguale dignità del più piccolo e povero tra gli esseri umani, come Santa Teresa di Calcutta chiamava il bambino non ancora nato. Lo Stato che non vuole punire la donna, in quanto la ritiene anche vittima, non può rinunciare a proclamare il diritto alla vita del concepito e a porre in essere reazioni educative, culturali e sociali per difendere il diritto alla vita. Il presupposto di un cambiamento della legge 194 è la conversione dei partiti della sinistra che hanno dato forza maggioritaria e popolare alle richieste di gruppi minoritari radicali e femministi. Bisogna che sia avvertita la contraddizione tra la richiesta di consensi in nome della solidarietà verso i più poveri e il disconoscimento della dignità del più piccolo e povero. Da quando si è dissolta la Democrazia Cristiana, molti cattolici sono divenuti militanti dei partiti della sinistra. È necessario che essi avvertano come loro specifica vocazione politica convertire tutti i partiti della sinistra affinché rivolgano lo sguardo versoi bambini non ancora nati e li riconoscano come esseri umani.
Arriverà mai la possibilità in Italia per parlare di questioni così importanti senza lasciarsi costringere da una scadenza o da una polemica?
In occasione dell’ultima giornata per la vita il Movimento per la Vita ha invitato tutti i parlamentari di qualsiasi partito un libretto intitolato “I diritti dell’uomo e la capacità giuridica del concepito”. Il gesto ha richiesto un certo ardimento, ma è stato motivato da una chiara volontà di dialogo. È positivo che alcuni parlamentari della Lega vogliano cambiare la legge 194. Essi mantengono un filo di non rassegnazione, ma non è sufficiente a cambiare la legge. Lasciamoci guidare ancora una volta dai nostri maestri. La Pira, uomo del dialogo diceva che vi è una “frontiera intransitabile”: quella sulla quale ogni uomo è riconosciuto nella sua insopprimibile dignità. Santa Teresa di Calcutta scrisse una lettera al Movimento per la Vita nella quale disse che al fondo di ogni progetto politico, e quindi di ogni partito, deve esserci il riconoscimento della dignità umana del più piccolo e povero a cominciare dal concepito.
Sentiamo spesso parlare di sostegno alla natalità come se fosse una questione meccanica di incentivi. Certo bisogna superare una penalizzazione esistente per chi decide di accogliere un figlio, ma non ci troviamo di fronte ad un fenomeno complesso che prevede un cambiamento radicale della società?
Non molti anni fa si parlava di “bomba demografica”, espressione con cui si rappresentava il timore di una crescita della popolazione tale da rendere difficile la sopravvivenza di tutti. Oggi si parla di “inverno demografico” e così si manifesta la unanime preoccupazione per il crollo delle nascite. Purtroppo, le ragioni della preoccupazione, sono egoistiche: si teme che la forza di una nazione diminuisca e che con la presenza di una forte immigrazione vada perduta la sua identità. Si teme anche che la crescita del numero degli anziani e la diminuzione dei giovani renda impossibile l’attuale sistema pensionistico. Sono preoccupazioni giuste, ma non toccano il fondo del problema. Analogamente, i rimedi proposti nel campo del lavoro femminile e dei sussidi economici per i figli sono apprezzabili, ma prima ancora occorre un cambiamento culturale profondo. Bisogna riscoprire il valore della famiglia e il significato dei figli. Oggi le famiglie si dissolvono facilmente. Devono tornare ad essere per i giovani un ideale che dà senso alla propria vita. I figli sono la condizione dell’esistenza della società e la garanzia della storia. Quando Dio ha creato la donna, ha detto: «Non è bene che l’uomo sia solo», ma non ha pensato solo alla compagnia dell’uomo e della donna; ha pensato anche ai figli chiedendo all’uomo e alla donna di collaborare con lui nella creazione e di garantire così il futuro. Deve tornare al centro della riflessione la maternità, come anche la nostra Costituzione (art. 31) vuole.
E come si può ridare centralità a tale riflessione?
Deve cessare la pretesa femminista che nel rifiuto della maternità vede realizzata l’uguaglianza tra l’uomo e la donna. La maternità è un privilegio femminile che aiuta l’intera umanità a camminare verso il bene comune. C’è un quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo, intitolato “Quarto Stato” molto apprezzato negli ambienti che si autodefiniscono progressisti. Questo quadro mostra una folla proletaria che cammina verso il futuro: sono tutti uomini, ma davanti a tutti c’è una donna che tiene in braccio il suo bambino neonato. Ella guida l’intera umanità.