Vita di condominio
«Ma perché le cose più belle la Rai le trasmette in orari impossibili?». In effetti per un giovane come quello che mi scrive – e non solo per lui – le 9 del mattino di domenica è un’ora improponibile.
«Oltre che coinvolgente e coraggiosa, è una trasmissione utile perché, al di là di quello che si vuole far apparire, il tema della disabilità e quindi dell’inclusione è una sfida aperta e un campo che chiama in causa il mondo politico, quello dell’educazione, dei media e ognuno di noi…».
Due tra i tanti messaggi che mi sono arrivati (spero siano arrivati anche in Rai) da amici ai quali ho segnalato il nuovo docureality di Rai2 O Anche No, un modo nuovo, ironico e appassionato per cercare il confine tra “normale” e “diverso”.
Ogni puntata tratta un tema, che si snoda attraverso musica, esperienze, interviste.
Un tassello della puntata di domani 3 novembre, dedicata alla ricerca di Dio e alla fede, è il racconto che faccio di un’esperienza collettiva, piccola come un seme.
L’ambiente è un condominio come tanti, 35 appartamenti in due palazzi divisi da un cortile, dove abitano famiglie, anche numerose, pensionati che i nipotini vengono spesso a trovare, qualcuno rimasto solo, un focolare – la comunità di cui faccio parte…
«Che bello sarebbe usare bene questo cortile!». Era stato il pensiero di una signora del palazzo.
E perché non provarci? Un po’ alla volta si è arrivati a realizzare un momento conviviale, che è diventato via via sempre più atteso, partecipato, bello.
L’ultima volta eravamo circa 70, da 1 a 90 anni. Sono venuti fuori talenti straordinari: cuoche e cuochi che potrebbero gareggiare con Antonino Cannavacciuolo, giovani rivelatisi artisti nell’abbellimento dei tavoli con fiori freschi. Si era tutti protesi a conoscersi di più, a raccontarsi, tanti hanno potuto condividere momenti della propria vita importanti. «Sono stata felice prima, durante e dopo», così Maria Pia, la nostra “nonna” di quasi 90 anni.
Davvero è una gioia di tutti e il motivo lo ha espresso molto bene una famiglia: «Prima non ci salutavamo nemmeno, ora siamo una comunità”. In effetti ora non solo ci si saluta, ma ci si aiuta, con alcuni ci si confidano gioie e dolori, si condivide qualcosa che si ha in più. Nessuno è o si sente escluso.
Abbiamo organizzato una festa in occasione dei 100 anni di una signora, che dopo poco è morta. E i figli ci hanno scritto tra l’altro: “…ci avete dimostrato che è ancora possibile essere umani nelle piccole grandi cose. Vi ringraziamo di cuore con la speranza che possiate continuare a “contagiare” tutto il vicinato.