Visto da Hollywood
La produzione di Mel Gibson La passione di Cristo è un affresco di due ore sulla sofferenza di Gesù di Nazareth, dal momento del suo arresto nel giardino del Gethsemani fino alla morte in croce. È difficile immaginare una meditazione sulla tortura, la flagellazione e l’umiliazione di Cristo più implacabile e orrificante di questa. I dialoghi in aramaico, ebraico e latino danno al film un senso di verosimiglianza storica e, nello stesso tempo, l’impressione di essere altrove. Gli altri elementi formali – le riprese, l’editing, la musica – sono tutti ricchi di effetto. Le scelte artistiche di Gibson sono chiaramente radicate nello stile emotivamente carico della Hollywood contemporanea, che vuole schiacciare gli spettatori con un potente apparato di immagini, con effetti speciali straordinari e con la violenza grafica, nodo del cinema da blockbuster di oggi. L’uso che il regista fa di questi elementi oggi ormai comuni, potrebbe essere considerato il risultato più straordinario della sua opera. Egli ha creato un modello di arte devozionale utilizzando gli ingredienti più spettacolari della cultura popolare, quelli che si ritrovano nei film dell’orrore, dei poemi epico-marziali e della fantascienza. Gibson ha trasformato una storia della Passione, spesso banalizzata dall’abitudine, in un film pieno di emozioni col quale vuole catturare la nostra attenzione. La sceneggiatura di Gibson e Benedict Fitzgerald è centrata su un aspetto particolare della Passione di Cristo: le ultime dodici ore in cui ha sofferto crudeli tormenti ed una ancor più crudele morte. Qual è l’obiettivo di una interpretazione così mirata? La prima osservazione da fare è che il film di Gibson si inserisce all’interno di una tradizione, minoritaria ma ben radicata, di arte devozionale cattolica. L’obiettivo di questo tipo di rappresentazione artistica si avvicina un po’ agli Esercizi spirituali del fondatore dei gesuiti, sant’Ignazio: si vuo- le avvicinare lo spettatore alla sofferenza in modo tale che questa venga interiorizzata in modo indelebile. La truculenza non è fine a sé stessa, ma è piuttosto uno strumento di purificazione, che ci permette di incontrare ed affrontare la nostra personale realtà di peccatori. La passione di Cristo utilizza una presentazione traumatizzante per suscitare rimorso, pentimento e perdono. Il film vorrebbe spingerci a dire: Guarda cosa ho fatto! I miei peccati sono la causa di tutta questa sofferenza. Come posso continuare a vivere così come sono?. Certo, ci sono altri modi, forse più equilibrati, di avvicinarsi al mistero della sofferenza di Cristo. L’approccio di Gibson appartiene al devozionismo popolare e dobbiamo giudicare il suo successo o fallimento all’interno di questo contesto. È anche importante sottolineare la forte componente mariana del film che sarà per molti l’aspetto che lo salva. Maria accompagna il Figlio nel suo cammino di sofferenza e morte: è una figura piena di saggezza al centro del dramma della Passione ed è al tempo stesso debole – come il film vuole che capiamo – solo in termini umani. Probabilmente il film non sarà particolarmente gradito da chi non è cristiano e da coloro per i quali è difficile accettare la premessa cristiana della colpa universale. Altri, cristiani inclusi, non apprezzeranno la violenza della rappresentazione. Messi di fronte alle sofferenze di Cristo, altri ancora potrebbero cercare di sfuggire al nodo centrale della questione, la colpa di tutti nella morte di Cristo, e cercare invece dei capri espiatori. Penso che, obiettivamente, Gibson abbia cercato di rappresentare la sofferenza e morte di Cristo come una colpa condivisa universalmente, proprio come dicono i vangeli. La folla di ebrei richiede a gran voce la crocifissione e i legionari romani sono efferati. Sia Caifa che Ponzio Pilato sono corrotti, senza legge e asserviti a sé stessi. È inevitabile che vari aspetti del film si prestino ad interpretazioni contrastanti e certamente alcuni si sentiranno offesi, mentre altri no. Ad ogni modo, non c’è dubbio che Gibson abbia cercato di evitare – anche se in modo forse per qualcuno insufficiente – di presentare un capro espiatorio, cosa di cui invece è stato largamente accusato dai media. Ad esempio, nella scena del processo di mezzanotte di Gesù, alcune autorità ebree denunciano a viva voce le azioni legali di Caifa, accusandolo di soverchieria. La difesa di Simone di Cirene, così piena di compassione, è accolta dalle calunnie anti-semitiche dei soldati romani: tutto ciò è chiaramente intenzionale ed ha lo scopo di respingere possibili malintesi anti-semitici. Benché la reazione immediata al film sia stata dolorosa e abbia condotto a posizioni molto divergenti, il dibattito potrà ancora portare – se c’è una reale volontà di affrontare il tema – ad una migliore comprensione comprensione di esso. Le indicazioni della chiesa per la rappresentazione della Passione non potrebbero essere più chiare: Ogni presentazione che cerchi esplicitamente o implicitamente di spostare la responsabilità dal peccato umano ad un determinato gruppo storico, come ad esempio gli ebrei, non fa altro che offuscare una delle verità centrali del vangelo. Ho visto il film in compagnia di tre personaggi di spicco della comunità ebraica di Los Angeles. Benché nessuno di loro abbia trovato il film anti-semitico, erano comunque preoccupati dell’uso scorretto che se ne potrebbe fare. Non possiamo, quindi, vedere come problemi separati, da una parte, il pentimento che La passione di Cristo vorrebbe suscitare in noi e, dall’altra, l’accettazione della paura, espressa da molti ebrei, dei possibili effetti non voluti di quest’opera. C’è nel film una verità che ci richiama al pentimento: essa richiede una reazione semplice e profonda, che superi le nostre prime reazioni da spettatori. Qualsiasi opinione si abbia di La passione di Cristo, il film ci offre un’occasione per proclamare il nostro amore per lui e per praticarlo nell’attenzione e nella difesa di chi ci vive accanto.