Vissuta due volte?
Pierre Boileau e Thomas Narcejac (pseudonimo di Pierre Ayraud) sono noti come autori di decine di romanzi polizieschi eccellenti sia nella scrittura che nella trama, molti dei quali rilanciati dall’editrice Adelphi: ultimo, La donna che visse due volte (titolo originale D’entre le morts), dal quale Alfred Hitchcock trasse nel 1958 quel Vertigo che un sondaggio del 1962 per conto del British Film Institute indica come il miglior film di tutti i tempi. E dire che al suo apparire, nonostante gli interpreti – due star come James Stewart e Kim Novak –, la pellicola ebbe scarso successo di pubblico e l’accoglienza della critica fu tiepida. Troppo all’avanguardia per quei tempi!
Appena un cennosulla alla trama del romanzo, per non togliere a chi non l’ha letto o non conosce il film il piacere di una vicenda che lo appassionerà fino all’ultima pagina. In una Francia anni Quaranta sotto l’incubo dell’avanzata delle truppe naziste, l’avvocato e poliziotto Roger Flavières viene incaricato dall’imprenditore e amico Paul Gevigne di sorvegliare la giovane moglie Madeleine che ha strani comportamenti, ossessionata com’è dalla figura della bisnonna Pauline Lagerlac, di cui crede di essere la reincarnazione. Con l’intento di aiutarla a guarire, Flavières frequenta l’affascinante ed enigmatica donna, ma finisce per innamorarsene, senza immaginare di essere finito in un ingranaggio distruttivo dal quale non potrà più uscire. La vicenda, densa di simboli (vi si possono leggere i miti di Orfeo e di Pigmalione), aveva in effetti tutti gli elementi per intrigare Hitchcock: non era forse suo tema prediletto quello del “doppio”, del continuo gioco di rimandi che rende sempre incerta la lettura del reale? A dire il vero il fortunato sodalizio Boileau-Narcejac aveva partorito il romanzo facendo leva proprio sul fatto che avrebbe attirato l’attenzione del maestro del brivido.
Nella trasposizione sullo schermo, tuttavia, il regista statunitense operò varie modifiche quanto alla trama, ai nomi e ai luoghi (l’azione, per esempio, si svolge non più in Francia, ma nella California anni Cinquanta), intensificando l’atmosfera da incubo, il dramma e il tormento dei due protagonisti.
Ritorniamo invece ai luoghi del romanzo. Nella prima parte, la vicenda è ambientata a Parigi (fra l’altro in un Louvre dove per motivi di sicurezza, dati i tempi di guerra, parte delle collezioni è già stata spostata altrove). Ad un certo punto, nelle sue passeggiate con Flavières, Madeleine nomina Saintes, una cittadina situata nel dipartimento della Charente Marittima. Più tardi, facendone relazione all’amico, Flavières commenta: «Tua moglie mi ha saputo descrivere dei posti che non ha mai visto, ma che Pauline Lagerlac probabilmente conosceva benissimo… E aspetta… non ti ho detto tutto… Mi ha descritto l’anfiteatro non com’è adesso, ma com’era cent’anni fa».
Effettivamente Saintes, l’antica Mediolanum Santorum, conserva notevoli resti di epoca romana: l’arco di Germanico, eretto sotto il principato di Tiberio da un notabile del luogo, le terme alimentate da un acquedotto di cui sono visibili alcuni tronconi e l’anfiteatro costruito sotto la dinastia giulio-claudia e capace di accogliere 12-15 mila spettatori, oggi cinto da una corona arborea di grande suggestione. Altro monumento ricordato da Madeleine senza averlo mai veduto, ma di epoca successiva, è l’imponente basilica dedicata nel 1081 al primo vescovo di Saintes, sant’Eutropio: una delle tappe sul cammino dei pellegrini diretti al santuario spagnolo di Santiago de Compostela.
Nel suo tentativo di riportare Madeleine alla realtà, conducendola sui luoghi rievocati nelle sue fantasticherie, Flavières organizza una gita in auto a Sailly, villaggio del dipartimento di Yvelines sito in una valle dove si alternano boschi, pascoli e colture. Nella locale chiesa romanica, stranamente deserta al pari dell’abitato, Madeleine prega in silenzio sotto gli sguardi del suo accompagnatore. Poi decide di salire sull’alto campanile. Flavières cerca di trattenerla, fa per seguirla su per la scaletta che porta in cima… e a questo punto arriviamo all’episodio più emozionante del romanzo (e del film), in deciso contrasto con la pace e la tranquillità che ancor oggi caratterizzano questo borgo rurale di poche centinaia di abitanti.