Virtuosi a confronto

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Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Roma. Quando Marta Argerich chiude il Concerto in sol per piano e orchestra, dopo aver veleggiato, impalpabile, fra i ritmi sensuali e postimpressionisti di Ravel, si comprende che virtuosi si nasce, non si diventa. Perché non si tratta di abilità d’effetto che sbalordisce il pubblico, ma di tecnica matura unita ad una comprensione del brano fatta con anima infinita quanto lo è la musica. Quando poi una solista di razza si incontra con un direttore carismatico come Yuri Temirkanov la gioia è completa. Temirkanov ha 70 anni ma lo spirito è quello di un ragazzo che scopre cose nuove in cose antiche. Dirige senza bacchetta, giustamente, perché la musica è non solo ritmo, comando, precisione, ma espressione, colore, unità: e le mani servono entrambe a suscitare, pensare, far aprire il suono. Sa accompagnare, con rispetto per il solista, in modo eccellente. Sia con la grande Argerich, sia con due virtuosi, Nelson Goerner nel Terzo concerto per piano di Beethoven (meno morbido del solito), e Sergej Krylov nel Concerto in re magg per violino di Ciaikovskij: un giovane scatenato cui il direttore ha risposto col suono appassionato dell’orchestra ceciliana. Lo si è visto anche quando Temirkanov ha affrontato la Quarta Sinfonia ciaikovskiana e l’oratorio Ivan il Terribile di Prokof ‘ev. Nel primo brano, sussulti e malinconie hanno accompagnato l’autobiografismo dell’autore, teso fra il lusso timbrico e il tono patetico. Tragico in sommo grado Prokof ‘ev, nelle musiche per il film di Ejzenstejn. I cori dell’Accademia hanno punteggiato fra innocenza e dolore il racconto musicale, che non nasconde una vena trionfalistica da opera di regime. Eppure Prokof ‘ev sa affrescare strumentalmente in modo commovente. Merito di Temirkanov aver restituito verità alla musica, smorzando la retorica in favore dei sentimenti di solitudine e terrore di un popolo. Infine, un giovane destinato a diventare grande: Vladimir Jurowski, serio, severo, sicuro. Dirige la suite dalla Bella addormentata ciaikovskiana e poi Le baiser de la fée (Il bacio della fata), balletto di Stravinskji. Jurowski dirige col corpo oltre che con la bacchetta. Ma è misurato, preciso: l’orchestra lo ama, e risponde con gli impeti melodiosi di Ciaikovskij, leggero leggero, e le finezze stravinskiane. Anche qui, non c’è solo virtuosismo direttoriale e orchestarle, ma c’è anima. Il che vuol dire, semplicemente, in musica: Tutto. Stravinskij, Ballets/Stage works, dir. E. Ansermet, Orchestra de la Suisse romande, Decca 1993. Ciaikovskij, Concerto per violino, dir. A. Previn, Anne-Sophie Mutter violino, London Simphony Orchestra, DGG 2004. Prokof’ev, Ivan il Terribile, dir. R. Muti, Philarmonia Orchestra, Emi 1999.

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