Violenza ostetrica, in Italia il minor numero di casi dell’Ue

Secondo il primo rapporto dell'Unione Europea sul tema, coordinato da Patrizia Quattrocchi dell’Università di Udine, il nostro è il Paese con il più basso numero di casi segnalati
La nascita di Damien, il piccolo dominicano scelto come simbolo del raggungimento di 8 miliardi di abitanti sulla Terra, il 15 novembre 2022. EPA/ORLANDO BARRIA PICTURE TAKEN WITH PARENT'S CONSENT

Negli ultimi anni è aumentata anche in Italia la consapevolezza – e di conseguenza anche la denuncia, visto che in assenza di consapevolezza molti episodi passano sotto silenzio – del tema della violenza ostetrica: etichetta sotto cui ricadono una serie di abusi più o meno gravi nei confronti di partorienti e neomamme che vanno da quelli verbali a quelli più strettamente medici – come manovre e procedure non necessarie, eccessive, alle quali non è stato dato il consenso o sufficiente informazione. Un insieme di atti, comportamenti e omissioni che oggi sono riconosciuti internazionalmente come violenza di genere e violazione dei diritti umani; e rispetto al quale la Commissione Europea ha richiesto un’indagine, intitolata “Obstetric Violence in the European Union: Situational analysis and policy recommendations”, recentemente presentata e disponibile sul sito della Commissione.

La prof. Patrizia Quattrocchi, docente di antropologia medica all’Università di Udine (foto UniUd)

Lo studio è frutto di una raccolta dati effettuata tra il 2022 e il 2023 nei Paesi membri; anche se solo 16 dispongono di dati raccolti in maniera omogenea, e quindi effettivamente utilizzabili per la ricerca. A coordinarla è stata un’italiana, la professoressa Patrizia Quattrocchi, docente di antropologia medica all’Università di Udine. «Il termine violenza ostetrica – ha tenuto a precisare nel presentare l’indagine – non è accusatorio rispetto ai singoli professionisti della salute, che certamente fanno del loro meglio con gli strumenti a disposizione, ma identifica una serie di criticità strutturali dei nostri modelli assistenziali, spesso eccessivamente medicalizzati e poco attenti ai bisogni delle donne, in particolare di tipo relazionale o emotivo».

Dai dati emerge, guardando al nostro Paese, che l’Italia è in fondo a questa classifica: solo il 21% delle partorienti coinvolte nelle indagini afferma infatti di aver subito qualche forma di violenza ostetrica, contro l’81% della Polonia. Certo, si potrebbe obiettare che anche una su cinque non è poco (come reagiremmo se il 21% dei ricoverati in, poniamo, cardiologia, riferisse di aver subito abusi?) e che è lecito credere che non tutti i casi vengano registrati, ma dallo studio l’Italia esce comunque in una posizione virtuosa.

In quanto alle forme di violenza più comunemente denunciate ci sono la mancanza di consenso, gli abusi verbali (per esempio infantilizzazioni e discriminazioni), fisici (manovre ed episiotomie non necessarie, esplorazioni vaginali non consentite o eccessive) e la mancanza di comunicazione e di supporto (informazioni insufficienti o non adeguate, mancanza di assistenza emotiva). Inoltre, sono risultate diffuse l’eccessiva medicalizzazione e le pratiche cliniche che non si fondano sulla medicina basata sull’evidenza (per esempio eccessivo ricorso al taglio cesareo, all’episiotomia, all’induzione). È emerso anche che alcune categorie di donne, come le migranti, le appartenenti a minoranza etniche, le disabili e quelle che vivono in condizioni di indigenza, sono a maggior rischio di violenza ostetrica.

Va precisato poi che i casi registrati di denuncia legale di episodi di violenza ostetrica sono solo 22, di cui alcuni portati all’attenzione della Corte europea dei diritti umani e al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne delle Nazioni unite (Cedaw), in 12 Paesi (nessuna in Italia): segnale che (fortunatamente) la quasi totalità degli episodi non è così grave da costituire oggetto di denuncia, o della sottovalutazione del problema? Vedendo i dettagli, si notano notevoli differenze tra Paesi: se nei Paesi Bassi si va in causa anche “solo” per il mancato consenso alle procedure mediche, in Polonia si è registrata la morte di una donna e in Finlandia e Portogallo quella di due bambini per negligenza medica.

Va detto comunque che qualcosa si sta muovendo in tal senso, e non solo per la prassi consolidata in sempre più ospedali di somministrare alle neomamme dei questionari in cui indicare eventuali abusi. In 12 Stati, tra il 2017 e il 2022, si sono svolte 28 esperienze formative per i professionisti della salute che avevano per oggetto specifico la violenza ostetrica, e in 7 Paesi queste esperienze sono inserite nei percorsi accademici istituzionali: i più virtuosi sono la Francia, i Paesi Bassi e la Spagna. L’unico Stato ad aver legiferato in merito è appunto la Spagna (comunità autonome di Catalogna, Paesi Baschi e Valencia), mentre l’Italia è uno dei cinque in cui esiste una proposta di legge che però non ha ancora trovato seguito – a firma di Zaccagnini, nel 2016. Tenendo conto che, come l’indagine stessa osserva, la violenza ostetrica ha forte impatto sulla salute sia fisica che mentale di mamma e bambino, e che è una delle ragioni che possono indurre a non avere altri figli, si capisce l’urgenza di intervenire.

«Ora abbiamo finalmente una panoramica della situazione nei Paesi europei che ci indica anche le mancanze – sottolinea la professoressa Quattrocchi –. In particolare la necessità di definire strumenti standardizzati per poter comparare i dati nei diversi Stati. Ci auguriamo che questo report sia portato all’attenzione dei governi, delle istituzioni sanitarie e degli organi professionali, anche in Italia. Ora non si può più affermare che in Europa il fenomeno non esiste: dobbiamo prendercene carico e identificare dispositivi, legislativi e formativi per esempio, per contenerlo».

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