Violenza e impunità, domande sulla giustizia italiana

Dai casi di “femminicidio” alla turista danese violentata a Rimini da un venditore ambulante, già denunciato tre volte per lo stesso reato ma che girava libero ed indisturbato. Cosa non funziona bene nel nostro ordinamento?
ANSAMANUEL MIGLIORINI ADRIAPRESS

Ha fatto notizia qualche giorno fa l’episodio di stupro di una turista danese di 26 anni ad opera di un 37enne venditore ambulante di rose originario del Bangladesh. La notizia fa eco agli altri episodi di violenza sessuale di questa estate.

Ma l’anomalia di questa vicenda è sotto gli occhi di tutti: il cittadino straniero era già noto alle forze dell’ordine per i suoi precedenti anche specifici in quanto era stato già denunciato tre volte per violenza sessuale: due nei confronti di maggiorenni e una nei confronti di una minorenne.
Proprio questi fatti hanno spinto l’amministrazione comunale, oltre a esprimere «la propria totale solidarietà e vicinanza» alla vittima, a chiedere come mai girasse «libero e indisturbato un cittadino straniero che a proprio carico pare avesse più di un precedente riguardo violenze verso le donne e perché, se così fosse, non era in carcere?». Indignazione e rabbia che hanno certamente accomunato la gran parte degli italiani.

Pur condividendo l’indignazione e la rabbia espresse dall’amministrazione comunale riminese, va subito chiarito che il cittadino straniero nell’arco di tempo della sua permanenza in Italia non era mai stato attinto da alcun provvedimento di “pericolosità sociale”.

Ma ricostruiamo le sue vicende giudiziarie.

La Questura romagnola ha verificato che a carico dell’uomo c’erano tre pregresse denunce per violenza. La prima era stata presentata nella città di Terracina nel 1999. Secondo gli archivi della polizia, lo straniero avrebbe avvicinato una bambina in spiaggia, nei pressi di uno stabilimento balneare, e le avrebbe messo le mani addosso. L’uomo faceva il venditore ambulante e ogni giorno girava in spiaggia. Per l’episodio l’uomo venne condannato ma convertì la pena in espulsione, e per questo era stato allontanato dall’Italia per un periodo di 5 anni.

Nel 2004 è tornato in Italia forse per una sanatoria e nello stesso anno è stato denunciato prima a Terni per ricettazione e poi per violenza. Questa ipotesi di reato è stata derubricata in molestie, reato per il quale ha potuto usufruire dell’indulto del 2006 dedicato alle pene detentive non superiori ai tre anni. Agli atti, quindi, non risulta nessuna condanna. Due anni dopo, nel 2008 il venditore di rose ritorna a delinquere. Aggredisce una donna a Miramare di Rimini e viene condannato a un anno e mezzo. Ma la pena viene ancora una volta sospesa.

Tra i suoi precedenti anche un diverso episodio per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, nel 2008. In quell’occasione l’uomo viene condannato a 6 mesi sempre con pena sospesa. Per un massimo di due condanne, che non superino i due anni totali di pena si può infatti beneficiare della non menzione e della pena sospesa. Ecco spiegato il motivo per cui l’uomo era a piede libero e con un regolare permesso di soggiorno.

Va precisato che l’attuale normativa in materia di concessione o revoca del permesso di soggiorno, a differenza di quella precedente, prevede non già l’automaticità della revoca del permesso a seguito di condanne penali, ma solo a seguito dell’accertamento dello stato di pericolosità sociale del cittadino straniero. Pertanto dette condanne non sono di per sé ostative all’ottenimento del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, in carenza di un giudizio di pericolosità.

Il problema più delicato, quindi, si pone sul perché, nonostante non solo le molteplici denunce, ma anche le condanne, il cittadino straniero non sia stato riconosciuto socialmente pericoloso. Anche se, indipendentemente dal caso concreto, il problema si può estendere a tutte le situazioni, che ha visto coinvolti nostri connazionali, in cui, chi aveva il dovere di farlo, ha sottovalutato la situazione, omettendo provvedimenti necessari per la tutela della collettività.

Nel caso specifico la gravità del primo reato (abuso sessuale su minorenne) avrebbe certamente meritato una prima verifica sulla sussistenza o meno della pericolosità sociale dell’imputato. Tanto avrebbe costituito il presupposto per l’applicazione di misure di sicurezza nei confronti del condannato. Negligenza che si ravvisa con maggiore gravità in capo a chi, successivamente, ha consentito il suo rientro in Italia, evidentemente sul presupposto che non fosse ritenuto socialmente pericoloso. Resta inspiegabile, infine, il motivo per cui, al ripetersi dei nuovi fatti delittuosi, allo stesso non gli sia stato revocato il permesso di soggiorno e definitivamente allontanato dall’Italia.

Profili di responsabilità che ora, anche grazie alla pubblica denuncia dell’amministrazione riminese, subiranno un accurato approfondimento.

Ci consola sapere che la questura di Roma, intanto, ha attivato la procedura per revocare il permesso di soggiorno all’autore del gravissimo gesto. L’indirizzo romano al quale lo straniero è domiciliato risulta falso e sono in corso accertamenti sul suo presunto datore di lavoro, un connazionale. La questura di Rimini procederà poi con la notifica dell’espulsione che sarà seguita dal rimpatrio, una volta ultimato l’iter giudiziario.

 

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