Chi ha vinto le elezioni israeliane?
In Israele si sono svolte per la seconda volta quest’anno le elezioni politiche. Dopo l’impossibilità di formare un governo che era uscita dalle consultazioni del 9 aprile scorso, anche le indicazioni che stanno emergendo dalle elezioni del 17 settembre non sono del tutto decisive: non è chiaro chi ha vinto, ma neppure chi ha perso. Sembra comunque (al 91% delle schede scrutinate) che il nuovo partito laico di centro-destra Kahol Lavan guidato da Benny Gantz si sia aggiudicato 32 seggi dei 120 della Knesset (il parlamento monocamerale israeliano), mentre il Likud, il partito di destra del premier uscente Benjamin Netanyahu, ne abbia ottenuti 31. Ma la differenza in un sistema elettorale proporzionale puro come quello israeliano è data dalle alleanze con i partiti minori.
Per ottenere la maggioranza parlamentare di 61 seggi è indispensabile l’alleanza con altri partiti. E i partiti che hanno superato la soglia di sbarramento (3,25%) che consente di ottenere seggi nel parlamento israeliano sono attualmente 9. I tre raggruppamenti di destra, da un decennio in un modo o nell’altro alleati del Likud, sono Shas (sefarditi osservanti della Torah), UtJ (giudaismo unito nella Torah) e Yamina (una nuova alleanza di destra radicale): insieme avrebbero ottenuto nelle attuali elezioni rispettivamente 9, 8 e 7 seggi, per un totale di 24. La coalizione di destra facente capo al Likud di Netanyahu, quindi, potrebbe contare su 55 seggi, 6 meno dei 61 necessari per avere la maggioranza.
Di fronte non c’è però una vera e propria coalizione, ma una serie di raggruppamenti eterogenei di centro-sinistra-destra, anche se tutti di ispirazione laica, che appare come l’unico denominatore comune. Si tratta di 3 raggruppamenti, oltre a Kahol Lavan, che sono: il partito arabo israeliano unito (Joint List, che avrebbe ottenuto 13 seggi), il partito Laburista (forse 6 seggi) e l’Unione democratica (i seggi sarebbero 5).
Poi c’è però Israel Beytenu, il partito dei russofoni guidato da Avigdor Lieberman, che certamente non è una formazione di sinistra né di centro, anzi appartiene all’area della destra nazionalista, ma diversamente dagli alleati del Likud è decisamente laico e anticlericale. Israel Beytenu potrebbe ottenere 9 seggi, raddoppiando quasi la sua rappresentanza rispetto alle precedenti elezioni. A conti fatti, quindi, una coalizione di Kahol Lavan con i tre partiti che lo affiancano arriverebbe a 56 seggi, 5 meno dei 61 necessari per avere la maggioranza e quindi esprimere il governo del Paese. La differenza decisiva per ottener la maggioranza la potrebbe fare proprio Avigdor Lieberman, sia che si allei con il Likud che con Kahol Lavan. E proprio questo è ciò a cui aspirava esplicitamente il leader di Israel Beytenu: essere l’arbitro della politica israeliana, al posto di Netanyahu.
Le questioni in ballo sono numerose sia in politica interna che estera e i tentativi di aggiudicarsi in qualche modo la maggioranza, nei prossimi giorni, saranno senza esclusione di colpi. La messa in discussione della decennale supremazia della destra, se non altro, ha messo in moto nei mesi scorsi molti gruppi politici, producendo un dibattito molto acceso, e il rinnovamento di molte formazioni ha prodotto un aumento dell’affluenza alle urne di molti cittadini, in particolare degli arabi israeliani. Netanyahu ha sfoggiato negli ultimi tempi proposte sempre più radicali per raccogliere il consenso degli ultraortodossi, ultima in ordine di tempo la dichiarazione di voler israelizzare tutto, o quasi, compresa la valle del Giordano e gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, naturalmente a spese dei palestinesi.
Se Kahol Lavan riuscirà a mantenere il vantaggio anche di un solo seggio sul Likud, potrebbe ricevere dal presidente della Repubblica l’incarico di formare il nuovo governo. Se sceglierà di rivolgersi a destra dovrà proporre un governo di unità nazionale con Lieberman e il Likud. Se guarderà a sinistra, dovrà convincere Lieberman ad allearsi con Laburisti e Unione Democratica. Se invece sarà il Likud ad ottenere l’incarico, Netanyahu dovrà riprovare a convincere Lieberman ad unirsi alla coalizione dalla quale si è separato, impedendo la formazione del governo.
Insomma, la difficoltà di ottenere maggioranze stabili di governo sembra coinvolgere sempre più Paesi: dalla Spagna all’Italia, dal Regno Unito ad Israele, per non fare che qualche esempio.