Vincere con la mente

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Il vero campione è quello che riesce realmente a trasformare i limiti in possibilità . Di fronte alle brucianti sconfitte di Michael Schumacher e Valentino Rossi, Giuseppe Vercelli, psicologo dello sport, sintetizza così la formula migliore che permette ad un’atleta di rialzarsi. Con il suo staff del centro di psicologia dello sport dell’Università di Torino assiste da un decennio campioni d’ogni disciplina, dallo slalomista Giorgio Rocca a Stefano Cipressi, fresco campione mondiale di canoa slalom. Schumacher e Rossi hanno vissuto certamente da campioni anche la sconfitta, ma con delle differenze: il primo ha perso per motivi tecnici, il secondo per un proprio errore. Di Valentino ci ha colpito la sua dichiarazione: Pensavo di essere invincibile…, un concetto che potrebbe rendere ottuso rispetto alla prestazione. Il grande campione ipotizza già tutte le possibilità e nella sua mente sa di non essere imbattibile, ma sa di avere la soluzione ideale per ogni tipo di problema e di evenienza. Ha comunque saputo riconoscere i meriti del vincitore, un’altra cosa che distingue i grandi campioni, il primo punto di un ipotetico vademecum per la gestione di una sconfitta. Vercelli ha vissuto da vicino la sconfitta di Giorgio Rocca, uscito nella prima manche dello slalom alle Olimpiadi di Torino: Anche lui si è distinto: anziché rimanere chiuso in un hotel, è andato a bordo pista a vedere la seconda manche e festeggiare il vincitore della gara che lui avrebbe dovuto vincere. Un grande campione è anche un grande uomo. È bene però ricordare che nei comportamenti immediati viene in luce solo l’atteggiamento di autocontrollo, che, in parte, è apparenza: per gli atleti la realtà cambia di molto due o tre giorni dopo, quando prendono piena coscienza; è una reazione privata, di cui non si occupano i media, ma è quella che fa la differenza perché è lì che la delusione può trasformarsi o meno in energia per una nuova vittoria. Chi invece non ha un equilibrio tende a cercare capri espiatori. Da cosa dipende una risposta così diversa? Dipende dall’atleta, ma anche dall’ambiente in cui vive, dalla sua ecologia. Se ci troviamo in un ambiente amico, o ce lo siamo costruiti, di fronte qualsiasi evento sappiamo dove sta il nostro centro. Se viceversa, vacilliamo. Qual è dunque il ruolo dello psicologo? A patto che tutto il resto sia stato allenato in modo corretto, si tratta di favorire l’espressione della genialità dell’atleta, la massi- ma espressione delle risorse, la corrispondenza tra la potenzialità e la realizzazione in gara. Vi definiscono i nuovi guru… Il lavoro dello psicologo dello sport deve essere fatto anzitutto con molta umiltà, senza esaltazioni o spettacolarizzazioni, nel massimo silenzio. E rispettando una regola aurea: conferire la massima autonomia all’atleta. A volte si confonde il ruolo degli psicologi con quello dei motivatori, le figure che vediamo urlare slogan durante la gara. Usano… una benzina speciale, ma la macchina rischia di fondere: nella costruzione della propria sfera possono far perdere sincronia e portare l’atleta in una dimensione illusoria, mentre sappiamo che la base della massima prestazione è la consapevolezza, l’unione fra mente e corpo. Il metodo utilizzato è una sua intuizione, frutto del lavoro di dieci anni del suo centro, con circa 700 sportivi professionisti. Il metodo permette all’atleta di entrare in una propria sfera, un acronimo per la massima prestazione. Significa lavorare sui cinque fattori della prestazione di eccellenza. Il primo dei cinque fattori è la s, come sincronia, cioè la capacità essere presenti al momento che si sta vivendo. Il secondo sono i punti di forza: in allenamento vanno migliorati, in gara bisogna identificarsi solo quelli. E sta per energia, o meglio il suo dosaggio di questa forza, nel sottile confine fra il poco ed il troppo. Il quarto è il ritmo, la giusta eleganza e velocità di connessione fra i movimenti. Infine la attivazione, quel valore aggiunto che ti fa vivere con passione. La costruzione della propria sfera è diversa per ogni atleta. La pressione dei media, il tifo, gli incentivi economici come possono condizionare la prestazione? Possono incidere pesantemente, ma con una differenza: i campioni hanno due terzi di motivazione intrinseca, trovano soddisfazione in sé stessi, e un terzo di motivazione estrinseca, nel successo e nel denaro. Chi ha più motivazione estrinseca è molto più permeabile a questi condizionamenti; chi invece ha molta più motivazione intrinseca sa addirittura reinterpretare a suo favore le suggestioni negative. Un campione si caratterizza per due aspetti: uno è la sistematica capacità di trasformare i limiti in possibilità, l’altro è quello di avere un interruttore di massima attivazione durante la gara, per disattivarsi una volta terminata. Quale contributo può dare lo psicologo dello sport a livello giovanile? Quello che stiamo facendo con Juventus University, il settore calcio giovanile del club, e con altri sport, è sviluppare una mentalità vincente con l’idea di giocare divertendosi, soprattutto fino a 14-15 anni. Gli atleti che fanno questo percorso durano nel tempo. Le neuroscienze affermano che movimento uguale intelligenza, intesa come capacità di adattamento al nuovo. Vercelli ha raccolto questi concetti in un libro che sta avendo un grande successo Vincere con la mente. Nonostante si parli di vincere con la mente è bene intendersi sul concetto: la mia vittoria è provare le migliori sensazioni possibili nel momento in cui svolgo la mia attività. Dopo possono anche arrivare podi e medaglie. Se questa nuova concezione della vittoria viene diffusa la valenza educativa dello sport è assicurata. I bambini non devono venir educati ad un concetto di vittoria vista come distruzione dell’altro e soprattutto di vittoria a tutti i costi, vista come fine supremo.

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