Vince il Sud America

Premiato il Perù con "La teta asustada" di Claudia Llosa, film sulla natura violata. L'Italia presente con "Terra madre" di Olmi.
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La sorpresa è venuta da lontano ed è stata una lezione, sia per le supervitaminiche confezioni spettacolari made in Hollywood sia per gli spocchiosi film autoriali di marca europea. Ha vinto il cinema “povero”, che si contrappone a quello ostentatamente ricco non solo con la forza delle idee, ma soprattutto con quella del cuore. Hanno vinto le regioni estreme della celluloide con il Perù di La teta asustada (Il seno impaurito) di Claudia Llosa, con l’Uruguay di Gigante, diretto da Adrian Biniez, e l’Iran di Darbareye Elly (A proposito di Elly) di Asghar Farhadi.

Un verdetto (brava l’attrice inglese Tilda Swinton, vista di recente ne Il curioso caso di Benjamin Button, a pilotare la giuria verso decisioni unanimi) che va al di là di una premiazione di routine per assumere il significato di un’indicazione da seguire. Ma anche un verdetto che seppellisce le logore polemiche dell’apparato di casa nostra, risentito oltre misura per essere stato escluso dalla festa. Polemiche stantie e scioviniste, frutto di permalosi residui di una nobiltà decaduta da un pezzo. Che cosa si pretendeva di schierare al nastro di partenza della competizione berlinese? Italians? Questo piccolo grande amore? Per mostrare in pubblico i panni sporchi (altro che Gomorra!) di opere finanziate con i fondi pubblici senza averne i minimi requisiti, senza un minimo di vergogna per la sfacciataggine di attribuire la qualifica di “film di interesse culturale nazionale” a filmastri ammuffiti che sono soltanto i lontanissimi parenti della commedia all’italiana e di un neorealismo tinto di rosa? 

L’unico angolo che i colori nazionali sono riusciti a ritagliarsi lo si deve al sempre verde e indomito Ermanno Olmi, come da promessa passato armi e bagagli al documentario con Terra madre, poema lirico sul lavoro dei campi e su un’agricoltura che conserva l’orgoglio identitario a dispetto di una sempre più invadente industrializzazione.

 

La natura violata (tanto quella dell’ambiente quanto quella dell’uomo) è anche il tema del film che ha vinto l’Orso d’oro: il peruviano La teta asustada di Claudia Llosa. In un mondo superstizioso, eternamente impaurito, una giovane andina vive un trauma profondo che porta con sé fin dalla nascita e che soltanto riscattandosi da un passato di oppressione riuscirà a rimuovere. Un film di denuncia a tutela della dignità di donne ossessionate dall’uso quotidiano della violenza e dalle psicosi di panico collettivo che questa diffonde nelle classi meno abbienti, ma nello stesso tempo anche un film sulla condizione femminile nella sua accezione più vasta. 

Gran premio della giuria a un altro latino-americano, l’uruguaiano Gigante, opera-prima di Adrian Biniez (diviso a metà con il tedesco Alle anderen di Maren Ade, riconoscimento d’obbligo ai padroni di casa per un film sul malessere giovanile di una borghesia annoiata che stona parecchio nel bel mezzo di un palmarès all’insegna del Terzo Mondo): metafora dei Paesi in via di sviluppo raccontata attraverso la storia di un insignificante guardiano notturno di un grande magazzino e del suo amore per una ragazza delle pulizie.

Premio per la miglior regia all’iraniano Darbareye Elly di Asghar Farhadi: sottile e allusivo atto d’accusa contro le società integraliste che, tramite la vicenda di una ragazza scomparsa nel corso di una vacanza, mette in luce il clima di menzogna, ipocrisia e falso perbenismo dietro i quali si nasconde un ambiente minacciato da regimi totalitari e fondamentalisti, come quello sorto dalla rivoluzione islamica di Khomeini.

Se la 59a Berlinale ha avuto un senso, questo va ricercato nel rifiuto della dipendenza dal sistema produttivo imperante, dei suoi schemi e dei suoi parametri, ai quali orgogliosamente si contrappone la scelta di una libertà creativa che nell’assenza di vincoli e condizionamenti trova la garanzia di una piena autenticità. A futura memoria per l’edizione del 60° anniversario e delle altre che verranno.

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