Vietato dimenticare

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Aceh, provincia autonoma dell’Indonesia, all’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. È teatro di una lunga guerra tra i ribelli del Movimento Aceh libero (Gam) e l’esercito indonesiano. Cominciato nel 1976 e proseguito, quasi ininterrottamente, è uno dei conflitti più lunghi attualmente in corso. Fonti accreditate parlano di almeno 12 mila morti; secondo altre fonti vicine al Gam, il numero delle vittime salirebbe invece a 50 mila. Questa guerra dimenticata è venuta in evidenza solo quando lo tsunami ha investito la provincia di Aceh. Cecenia, area di enorme importanza strategica, attraversata da importanti oleodotti e gasdotti. Conquista l’indipendenza dalla Russia nel 1991. Tre anni dopo subisce il tentativo di Mosca di riappropriarsi della regione, culminato col ritiro delle truppe russe che contano fra le loro fila migliaia di vittime. Centomila sono i morti ceceni. Nel 1999, riesplode il conflitto con attacchi violentissimi e il bombardamento, fino alla distruzione, della capitale Grozny. Non vengono risparmiate armi chimiche e atroci violenze contro la popolazione civile. Le ostilità sono tuttora in corso, ma se ne parla solo in caso di episodi gravissimi come la strage di Beslan. Darfur, regione occidentale del Sudan, teatro di una guerra civile in corso ormai da oltre venti anni. Qui la gente viene attaccata in casa propria e cacciata via, i villaggi bombardati, le donne stuprate, persone inermi uccise. Tutto viene distrutto, dai punti di distribuzione dell’acqua ai campi, al bestiame. È stata definita la crisi umanitaria più grave al mondo (cf. Città nuova n.13/2004, pag.9). L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha in programma di inviare a breve nel sud del Sudan, dove è stata stipulata la pace dopo oltre vent’anni di guerra, un team d’emergenza composto da 15 operatori, col compito di avviare urgenti progetti di reintegrazione necessari per preparare il rientro di circa 550 mila rifugiati sudanesi che si trovano nei paesi limitrofi. Si stima che la crisi nel Sudan meridionale abbia provocato circa 4 milioni di sfollati. Repubblica democratica del Congo, un paese grande come l’Europa occidentale. Il controllo dei ricchi giacimenti di oro e diamanti ha scatenato sul territorio una lotta fra gli eserciti regolari di alcuni paesi. Se 350 mila sono le vittime dirette del conflitto, ammontano a due milioni e mezzo i morti in seguito alla carestia e alle malattie provocate dagli aspri combattimenti. Colombia. Oltre tre milioni di sfollati all’interno del paese, raggruppati in baraccopoli nei sobborghi delle grandi città. Qui la violenza continua ad essere la principale causa di morte mentre il narcotraffico alimenta il conflitto che dura da decine di anni. Le fazioni armate si battono per controllare le bidonville e ogni giorno ci sono persone che vengono uccise, ferite, costrette a lasciare la propria casa. Spesso, semplicemente, scompaiono. Somalia. Quattordici anni di violenza hanno colpito tragicamente i nove milioni di abitanti di questo paese. Circa due milioni le persone sfollate o uccise dalla guerra civile. Quasi cinque milioni non hanno accesso ad acqua potabile o assistenza medica. E ancora Nigeria, Nepal, Burundi, Ruanda, Etiopia… un elenco infinito di punti caldi della Terra che si potrebbero raggruppare sotto un’unica dicitura: crisi dimenticate. Dimenticate da chi? Da noi, da ciascuno di noi e da tutti quelli che avrebbero l’obbligo di ricordarsene. Per agire, per impedirle, per fermarle. E invece non se ne parla. Non ne parlano i tg, non ne scrivono i giornali. Se non quasi accidentalmente. Basta accendere il televisore per accorgerci che nella scaletta dei principali notiziari non c’è posto per queste tragedie. Se l’è preso tutto l’Iraq lo spazio, e così l’unica guerra di cui si parla è quella contro il terrorismo. Il motivo, manco a dirlo, è evidente: allo stato attuale è quella di cui noi occidentali siamo i più probabili bersagli. Medici senza frontiere, organizzazione umanitaria nata, forse non a caso, da medici e giornalisti, ha presentato di recente un rapporto proprio sulle crisi dimenticate. Difficile stilare una classifica delle situazioni più drammatiche della terra seguite ora dall’una ora dall’altra organizzazione non governativa. Ma questa inchiesta stimola una riflessione sul rapporto tra media e crisi umanitarie. Il quadro che ne viene fuori è, a dir poco, allarmante. Non tutte le notizie che dovrebbero nascere, nascono, afferma il giornalista Furio Colombo sintetizzando la tendenza a procastinare l’informazione su tante tragedie di interi popoli che restano e resteranno per sempre a noi sconosciute. Ed anche quando di qualcuno di questi drammi si parla, se ne dimentica spesso e volentieri l’aspetto legato alla popolazione civile. Dallo studio ad esempio emerge che la crisi internazionale a cui i tg hanno prestato maggiore attenzione è quella irachena, col 57 per cento dei minuti dedicati alle emergenze internazionali. Analizzando però più nel dettaglio i dati veniamo a sapere che in riferimento all’Iraq si è parlato nel 47, 9 per cento di sequestri ed esecuzioni; nel 33,1 per cento di scontri e tensioni, nel 5,8 per cento dei risvolti sulla politica italiana e delle attività del nostro esercito. Solo lo 0,5 per cento del tempo è stato dedicato alle condizioni di vita della popolazione irachena e agli interventi umanitari. In questo modo risulta difficile rendersi conto, ad esempio, che la guerra ha provocato circa centomila morti, come invece sembra che sia, e lasciato centinaia di migliaia di persone prive dei servizi essenziali. Noi volontari siamo osservatori privilegiati che possono vedere l’orrore di fatti ed eventi che fanno della dignità umana un sanguinante misero fardello. E poi raccontare, urlare le privazioni dei diseredati, indicare in abusi e violenze i veri terremoti contro cui è difficile, se non impossibile, costruire argini o rifugi…, scriveva Carlo Urbani, il medico morto qualche anno fa per la Sars. Si riferiva al lavoro a volte eroico di uomini e donne che per queste crisi dimenticate spendono la loro vita. Ma richiamava anche il dovere di non farsi complici del male con il silenzio. Come può succedere e spesso succede agli operatori dell’informazione e, ancor più che a loro, ai padroni dell’informazione, a quelli che decidono gli argomenti di cui si deve parlare o quelli di cui si deve tacere. MEDIA A RAPPORTO Il Rapporto sulle crisi dimenticate è stato ideato da Medici senza frontiere in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia (che ha monitorato i tg delle reti Rai, Mediaset e La7 dell’ora di pranzo e della prima serata), Orao News che ha effettuato il monitoraggio sulla carta stampata (nazionale, locale, quotidiana e periodica) e con la facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza che ha avviato un confronto tra chi studia il ruolo dei media e chi li usa. Questa una sintesi dei principali dati emersi così come vengono presentati nel Rapporto che si riferisce al secondo semestre del 2004. Il network che ha dedicato più tempo a eventi o situazioni di crisi, sia in valori assoluti che in termini percentuali è la Rai, con oltre 102 ore di notizie pertinenti, pari al 19,6 per cento della durata complessiva dei notiziari. In particolare, Rai tre è la testata giornalistica che alza il dato medio, con un 22,6 per cento d’informazione concentrata su notizie di crisi. La7 è l’unico network con una sola emittente, pertanto, in valori assoluti risulta aver dedicato un tempo decisamente inferiore a quello di Rai e Mediaset, tuttavia se si considera il dato in valori percentuali sul totale della durata dei notiziari, il profilo di La7 è molto simile a quello della televisione pubblica, con un 19 per cento di tempo dedicato a notizie di crisi. Mediaset, infine, è il network con il valore percentuale più basso, 15,2 per cento. Nei tg monitorati dopo il 57 per cento dedicato alla crisi irachena si attesta il maremoto nel sud est asiatico col 13 per cento, seguito dalla crisi del Medio Oriente col 12 per cento, dalla tragedia di Beslan col 7 per cento, da emergenze alluvioni, tifoni o uragani col 4 per cento. Significativo il valore registrato dal maremoto se si considera che è accaduto il 26 dicembre e quindi i dati della tabella si riferiscono a soli sei giorni di informazione. Sul fronte della carta stampata risulta che le circa 40 voci individuate da Medici senza frontiere come indicative delle crisi più gravi attualmente in corso sono state menzionate sui quotidiani e i periodici monitorati circa 949 volte. Spicca l’impegno del quotidiano Avvenire con 228 uscite seguito da Repubblica e Corriere della sera con 98 e 95 uscite su questi temi.Tra i contesti di emergenza il più seguito dai giornali è stato il Sudan (233 uscite), seguito da Iraq (149) e Aids (97).

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